Scontri del 7 Luglio 1960, Vincenzo Bertolini: “Un incontro fra i famigliari di tutte le vittime? Può stemperare gli animi. Ingiustificabili quegli spari, ma si riconosca il clima di una sinistra insurrezionalista”

Continua a far discutere la proposta di Marco Eboli, figlio di Paolo, poliziotto ferito in seguito agli scontri del 7 luglio del 1960 durante i quali morirono i manifestanti Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli.
Un’idea che trova gelo nella maggior parte delle sinistra reggiana, che ha ancora vivo quel giorno ricordandolo come una delle più brutte pagine di storia italiana sulla Polizia di Stato: cinque manifestanti morirono colpiti da proiettili sparati dai poliziotti, è storia e nulla cambierà mai questo fatto.
Da allora, tutti gli anni Reggio Emilia commemora quei morti con importanti celebrazioni dedicando loro una delle principali piazze del centro storico.

Reggio Emilia è una delle città italiane dove il Partito Comunista ha fatto storia, sfornando politici che sono stati protagonisti della politica del nostro paese. “Culla del comunismo”, come la definivano gli americani scettici in una fase iniziale sul gemellaggio con Fort Worth negli anni ’80 (ndr, città texana a sua volta simbolo dell’America più conservatrice).

Ed è forse in parte anche la storia politica di Reggio Emilia che per tanti anni non ha ammesso altre riflessioni su quel 7 Luglio 1960. Ragionamenti, non interpretazioni, perchè quei tragici fatti non potranno mai essere “interpretati”: 5 persone caddero a terra uccise dagli spari di uomini in divisa.
Ampliare il raggio delle riflessioni, non significa quindi dare una chiave di lettura differente.

Le repliche emerse in questi giorni dalla sinistra reggiana circa la proposta di un incontro fra tutte le vittime, non sono entrate nel merito della proposta (ndr, salvo qualcuno che l’ha interpretata come una provocazione, vedendo Eboli più che figlio di un poliziotto ferito, un attivista storico della destra reggiana), ma hanno prevalentemente rilanciato la necessità di un processo che identifichi una volta per tutte le responsabilità di quelle morti.
Fra chi non ha disdegnato l’idea, l’Associazione Porto Franco, guidata dall’ex Assessore Pd Franco Corradini, che invita a una riflessione e rilettura più approfondita di quei fatti.

Ma anche Vincenzo Bertolini la coglie, vedendola anzi utile a stemperare gli animi.
Alla guida del Partito Comunista reggiano negli anni ’80, Bertolini si è sempre contraddistinto per essere un battitore libero, linea che porta avanti ancora oggi, pur conservando con convinzione principi e valori del comunismo di sempre (ndr, si commuove ancora oggi parlando di Enrico Berlinguer).

“La proposta di Eboli di un incontro fra i famigliari di tutte le vittime può servire a distendere gli animi”, spiega Vincenzo Bertolini contattato da NextStopReggio. “Che sia chiaro, ciò non cancella il fatto che la Polizia abbia sparato ad altezza d’uomo, ma mentre c’era anche un clima di restaurazione a destra, c’era anche uno strano clima quasi insurrezionalista a sinistra, non sempre giustificabile. E’ importante avere una visione un po’ più obiettiva dei tempi”.

Bertolini condivide una riflessione politica postuma: “Ricordo che due sere prima io stesso fui testimone di un fatto in via del Vescovado, dove oggi c’è la catena che separa piazza del Municipio. Lì vennero aggrediti tre poliziotti, li picchiarono a sangue con una ferocia pazzesca, poveretti, e poi li portarono via mezzi morti. Io ero un ragazzo, ma mi impressionai molto e quella scena non la scorderò mai.
Quindi, è chiaro che la Polizia fosse incazzata. Era due giorni prima di quel famoso 7 Luglio. In quei giorni del Luglio del 1960 si celebrarono in tutta Italia manifestazioni contro Tambroni. Io ad esempio allora partecipai alla manifestazione del 7 Luglio di Correggio, non a quella di Reggio. Poi quando mi dissero che a Reggio avevano sparato, presi il motorino e venni a Reggio, ma era finito tutto”.

“Che sia chiaro -evidenzia Bertolini-, ribadisco con forza, che sparare non è mai giustificato, però il problema a monte era se andava fatta quella manifestazione. Ricordo che a quei tempi erano tutti preoccupati che in diverse città italiane a sinistra la situazione non fosse controllabile, tant’è vero che la stessa Rossana Rossanda (ndr, dirigente PCI negli anni ’50 e ’60 e cofondatrice del Manifesto) espresse forti timori sull’opportunità della medesima manifestazione antifascista a Milano affermando: “Vogliono fare la manifestazione antifascista a Milano, ma io sono tormentata perchè temo che accadano degli incidenti. Il fatto che a decidere siano gli uomini della segr. PCI della federazione di Milano che sono in netta maggioranza, mi toglie un po’ di responsabilità e mi alleggerisce la coscienza”.

Vincenzo Bertolini ricorda inoltre le dichiarazioni di Graziano Delrio e Luca Vecchi durante un comizio del 7 luglio di alcuni anni fa: “I due sindaci dissero che non si doveva fare del revisionismo sul 7 luglio. Io intervenni pubblicamente evidenziando che non si può fare ricerca storica -non pregiudiziale- sulle verità dei fatti senza fare revisione: significherebbe essere contro la storia”.

Infine la condivisione sulla necessità di un processo che identifichi definitivamente le responsabilità di chi causò la morte dei manifestanti Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli: “Anche su questo, però, con la forza di ragionare attraverso l’obiettività. Nessuno giustificherà mai i poliziotti, ma si deve riconoscere che c’era un clima a sinistra in parte insurrezionalista. Si dice che non bisogna cadere nelle provocazioni, purtroppo anche a quei tempi c’era chi nelle provocazioni ci cadeva volentieri”.

Marina Bortolani, @nexstopreggio

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