Vicenda Saman: “Prima di tutti ci sono i rapporti con le persone”. Le toccanti riflessioni di Gabriella Bigi, ex insegnante

Gabriella Bigi con uno studente

Il volto dolce e la terribile vicenda di Saman è entrata nella nostra vita di schianto, attraverso i mass media, e i social, provocando reazioni diverse: indignazione, accusa e, certamente, da parte di tutti, pietà. Sono tutte reazioni comprensibili, ma sono capaci di generare qualcosa di nuovo nella nostra società?

La domanda sgorga in me non teoricamente, ma dalla mia esperienza. Io non vivo a Novellara, ma a Reggio Emilia, sono un’insegnante in pensione e da anni svolgo un volontariato di aiuto allo studio per i ragazzi delle scuole superiori della nostra provincia. Di ragazzi e ragazze stranieri ne ho conosciuti e ne conosco tanti e, tra questi e queste, anche alcune ragazze pakistane. In particolare, in questi ultimi anni è nata una bella amicizia con una di loro, che si è diplomata e ha anche già avuto esperienze lavorative, ovviamente userò un nome fittizio per non metterla in difficoltà, la chiamerò Fatima.

Saman Abbas

Fatima, dopo il diploma mi ha cercato varie volte, perché, come temeva, anche per lei la famiglia ha combinato il matrimonio con un giovane parente, che attualmente vive in Pakistan. Ci siamo incontrate tutte le volte che era possibile, io non sapevo come aiutarla, perché sono ben cosciente delle tradizioni da cui proviene (non la chiamo cultura perché mi pare che tale non sia) e dei rischi che poteva correre, ribellandosi.
Come tante altre ragazze (come anche Saman, io credo) vive drammaticamente su due binari paralleli: da una parte la possibilità di una libertà che ha respirato fuori dalla famiglia, nella scuola, sul lavoro e dall’altra l’affetto per la propria famiglia, i genitori e i fratelli di cui conosce l’ostinazione, ma a cui non vuole rinunciare completamente.

La situazione familiare di Fatima è sicuramente diversa da quella di Saman, perché a lei la famiglia ha permesso di frequentare la scuola, di lavorare e anche di avere amicizie fuori dal contesto pakistano. Ma questa disponibilità l’abbiamo ottenuta andando a conoscere la mamma, la sorella, il fratello, che ci hanno dato fiducia, e hanno permesso a Fatima di partecipare a qualche. momento conviviale, con altri studenti che frequentavano il nostro Centro.

In questi momenti lei si sentiva libera e al sicuro, tanto che in queste occasioni, con il permesso della famiglia, si toglieva il velo, mettendo in mostra la sua bellissima chioma.
Insieme a Fatima abbiamo valutato tante possibilità per affrontare il problema, da ogni punto di vista, il Covid ha poi fatto la sua parte perché ha ritardato la partenza per il Pakistan.
Insomma io avevo di fronte una persona, avevo di fronte lei e lei aveva di fronte me, una persona con cui poteva parlare, sfogarsi, confrontarsi, accettare consigli perché sa di essere stimata e voluta bene. Lei sa che io e altri amici non la lasceremo mai sola, non l’abbandoneremo e questo la faceva tornare a casa più serena, verificando le ipotesi che facevamo insieme.

Io non so come potremo evitare a Fatima di sfuggire all’imposizione della famiglia, forse non ci riuscirà, però, sicuramente, sta vivendo questa situazione tenendo conto di tutti i fattori in gioco, non da sola, aiutata da persone con cui può parlare, chiedere consiglio e aiuto.
Facciamo bene ad indignarci per il non rispetto dei diritti, ma prima di tutto dobbiamo cercare di incontrare, avere rapporto, costruire ponti (come dice il Papa) con queste persone.

Gabriella Bigi

Il cambiamento anche della legge, la tutela dei diritti nasce come esigenza dalle relazioni, da rapporti concreti.
Mi sono chiesta: se Saman avesse avuto una compagna di classe o un genitore di una compagna di classe o un insegnante che si fosse preoccupato di come mai questa ragazza non andava più a scuola e ne avesse interessato altri…Ma spesso noi “deleghiamo” alle istituzioni, quello che potremmo fare noi, se non per comodo o indifferenza, forse per paura, perché pensiamo sia impossibile interloquire con queste culture e religioni “chiuse”. Infatti, quanti di noi, anche tanti cattolici, fino ad oggi, hanno pensato che era un problema della loro religione, invece, come anche dichiarato dalla comunità islamica, la religione non c’entra.

Mi auguro che il sacrificio di Saman risvegli in ciascuno di noi e nelle nostre comunità una maggior sensibilità umana, un’umanità capace di incontrare tutti là dove siamo e operiamo.

Gabriella Bigi