Anarchici contro il G8 vent’anni dopo: “A Genova quel luglio 2021 eravamo in tanti…”

ANARCHICI CONTRO IL G8 20 anni dopo

Giovedì 22 luglio 2021, Circolo Berneri – Via Don Minzoni 1/d – Reggio Emilia ore 20 aperitivo sociale, ore 21 Assemblea dibattito e presentazione del numero speciale di Umanità Nova sul G8 di Genova 2001.

A GENOVA QUEL LUGLIO 2001 ERAVAMO IN TANTI…

A Genova, quel luglio del 2001 eravamo in tanti.
C’era chi voleva contare qualcosa.
C’era chi voleva solo cantare.
C’era chi voleva chiedere. C’era chi voleva impedire.
C’era chi era la prima volta, c’era chi c’era già stato tante volte.
C’erano i rossi e c’erano i neri, ma soprattutto c’erano di nuovo le magliette a righe del 60.
C’erano ragazzi che si affacciavano alla bellezza della politica fatta in prima persona, nelle piazze, nelle assemblee. Dappertutto, a pensarci bene, in quegli anni.
Era dal 1998 – ma da ben prima a farci davvero i conti – che un piccolo popolo, tenero e furibondo nella sua estraneità a vecchie forme dinosauresche e burocratiche di fare politica, si era incontrato e riconosciuto fratello, sorella.
Si era riconosciuto – come tra fratelli e sorelle mai incontrati ma intimamente legati – liberando voglia di rappresentanza dal basso, necessità viscerale di riconoscersi corpo politico, tensione verso un mondo di liberi ed eguali.
Era cresciuto, in forme e dimensioni, senza padri e senza padroni, irriverente, incatalogabile, inarrestabile. Incazzato.
A guardarlo bene, quel piccolo popolo, lo si sarebbe poi scoperto ricco di contraddizioni, dove la convivenza di tutto e il contrario di tutto si faceva davvero realtà sociale e non più utopia derisa.
Eppure.
Eppure assieme, coeso a suo modo, davvero pienamente, finalmente sintesi di diversità in dialogo e progettazione concreta di umanità nuova.
Con una presenza capillare nelle strade dei quartieri, nelle città del mondo.
Sembrava che ovunque si presentasse l’occasione, il piccolo popolo trovasse nuovi fratelli e sorelle pronti a procedere assieme senza necessità di grandi atti costitutivi e linee da far approvare.
In quegli anni il mondo era davvero alla portata del piccolo popolo.

Reggio Emilia è stata – penso – fra le prime in Italia a costituirsi in movimento, raccogliendo queste istanze liberatrici. Liberandosi dagli antichi cappi delle rappresentanze monolitiche, delle burocrazie multicolori, delle tradizioni di partito.
La scusa dell’appuntamento genovese di lì a qualche anno avrebbe condotto a raggrupparsi in assemblea permanente – ControVerso G8 – una pluralità di soggetti vecchi e soprattutto nuovi, nuovissimi, raccogliendo l’eredità dei movimenti di base reggiani che fin dagli Settanta e passando per il grande sciopero generale del 1991 contro la guerra nel Golfo, avevano lavorato costantemente. Pollicini infaticabili della politica dal basso, dell’esserci, del contare.Le contestazioni al nucleare, le lotte ambientaliste, antimilitariste, antirazziste, di genere, sindacali, le proposte culturali, l’attenzione al mondo della scuola e dei più giovani, le azioni solidali, la critica costante alle politiche dell’eterna città rossa e alle sue intoccabili rappresentanze politiche si
ritrovavano ora, quasi improvvisamente, corpo ribelle inaspettato.
Non più solo testimonianza, seppur seria e concreta, ma coscienza civile agente, in grado di proporre, intervenire, modificare.
Dai cristiani di base agli anarchici, dicevamo, per rendere conto – senza forse riuscirci pienamente –della ricchezza e diversità del nostro piccolo popolo reggiano che volevamo esempio e ispirazione per tutti gli altri.
Arrivammo a costituirci in RESF – Reggio Emilia Social Forum, scegliendo di assumere una carta costitutiva a garanzia della libertà dei singoli e delle sigle che lo componevano, per non lasciare spazio a meccanismi decisionali autoritari e verticali che ci avrebbero inevitabilmente ricondotti a quei modelli di gestione sociale e politica che cercavamo di scardinare, denunciandone l’intrinseca affinità con il potere.
Assemblee settimanali – addirittura quotidiane – frutto di un impegno personale degno di un lavoro remunerato, per moltissimi di noi, eppure volutamente volontario, mai prezzolato, esterno a finanziamenti pubblici e riconoscimenti economici che ne avrebbero sancito la fine dell’indipendenza orgogliosamente rivendicata.
Il piccolo popolo reggiano in movimento non era invendita.
In quegli anni il nostro modello non era prospettiva. Era realtà. Senza leader e senza cappelli politicidominanti, autogestionario e provocatore, conflittuale e demistificatore. Uno stare assieme che lasciava ampi margini di proposta e manovra a tutti quelli che si riconoscevano nelle parole solidarietà, autogestione, lavoro dal basso e in prima persona.

Genova, quel luglio del 2001, è stata una presa di coscienza della posta reale in gioco che ha segnato uno spartiacque nella rappresentanza politica di base. Quei giorni sono stati il ritrovarsi davvero diversi ma uniti e in grado di proporre, sono stati canti e balli liberatori e botte e gas e manganelli. Sono stati il volto feroce del potere che qualcuno aveva evocato e qualcun altro aveva sottovalutato, sono stati la vetrina della messa in scena della contestazione mediatica e del suo gioco a perdere.
Genova ha schiacciato i sogni di un cambiamento ottenuto come concessione dall’alto, svelando il gioco truccato dei processi democratici del potere, di qualunque potere. Genova ha messo bene in chiaro la superstizione della democrazia.
Genova ha ucciso Carlo Giuliani e il ragazzo di vent’anni in ognuno di noi, autopromuovendosi per l’efficienza della messa a morte del piccolo popolo.
Quando Genova e i suoi genovesi proprio non se lo meritavano di essere ricordati così.
Dal disincanto di quei giorni qualcuno è ritornato sui suoi passi, curandosi le cicatrici, cercando di ridare senso e vita. Qualcuno si è incattivito, qualcuno ha continuato più e meglio di prima.
Tutti sono cambiati.
Quando proporre soluzioni collettive è stato per un lungo momento qualcosa di assolutamente naturale, e ritrovarsi assieme il modo di esserci e di fare, oggi facciamo fatica anche solo a concepire percorsi di liberazione sociale collettivi. Oggi vediamo i frutti dell’atomizzazione sociale imperante che la repressione genovese ha anticipato con il gusto macabro dei preveggenti che possono disporre di vita e di morte.
Eppure.
Eppure le istanze fatte proprie da quel piccolo popolo sono ancora valide, ancora attuali. Ancor di più non rimandabili.
E le prassi teorizzate, sperimentate, realizzate, sono all’ordine del giorno in ogni angolo del pianeta. Ancor di più non delegabili.
Oggi non possiamo non riconoscerci in tutte quelle persone, ancora ultimi, ancora sfruttati, ancora classe, che portano avanti la necessità di un mondo di liberi ed eguali.E che da piccolo popolo si sono fatti grande umanità di fratelli e sorelle in lotta.

Fabio Dolci – Federazione Anarchica Reggiana – FAI