Messa in Ghiara e apertura anno pastorale col Vescovo: #foto

E’ stata celebrata sabato mattina 8 settembre dal Vescovo Massimo Camisasca presso la Basilica della Ghiara la solenne Messa per la Natività della Beata Vergine Maria. Si tratta del pontificale che dà inizio all’anno pastorale diocesano.

Di seguito riportiamo integralmente l’omelia del Vescovo e l’intervento conclusivo al termine della celebrazione.

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(Foto di Fabio Zani)

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Omelia per la Festa della Natività di Maria, inizio del nuovo anno pastorale

Cari fratelli e sorelle,

come ogni anno iniziamo qui, sotto lo sguardo di Maria, una nuova pagina della nostra vita. È questa per me e per tutti voi – ne sono certo – un’occasione bellissima, molto attesa, desiderata, che permette di ritrovarci assieme attorno alla nostra Madre. Ella ci invita a essere pieni di fiducia e a camminare con letizia verso il Signore

La fede, fonte di fiducia e di gioia

 Proprio questo è ciò di cui più abbiamo bisogno: la fiducia e la gioia. Tutto, intorno a noi, sembra congiurare contro questi due doni. Il nostro sembra il tempo della paura, talvolta motivata, talvolta creata ad arte ed ingigantita dai mass media; il tempo del disorientamento e dell’assenza di speranza. Anche noi possiamo venire inghiottiti da questa nebbia, da queste ombre, perdendo così il senso e l’orientamento dell’esistenza e infine smarrendo proprio il dono della fede e delle altre virtù teologali. La fede è mundi lumen, luce per camminare nel mondo. Non una luce generica, che può andar bene per ogni momento, ma una luce precisa, specifica, attuale, che ci indica i passi da compiere nelle condizioni in cui ci troviamo a vivere.

Il primo compito del vescovo e delle nostre comunità è perciò: alimentare la fede. La preghiera è la strada principale di questa alimentazione. Essa non è un atto devoto e tantomeno magico con cui cerchiamo di catturare la benevolenza di Dio. Piuttosto consiste in un’immersione nella volontà di Dio e nel suo disegno sul mondo. Quando dico “preghiera” penso certamente alle preghiere semplici del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria, che ripetiamo ogni giorno, forse senza più neppure pensare alle parole che diciamo. Penso, anche e soprattutto, ai Salmi, che sono una fonte fondamentale della nostra fede cristiana. Penso alla liturgia domenicale in cui tutta la comunità cristiana è continuamente alimentata dalla Parola di Dio, dall’Eucaristia e dagli altri sacramenti, in cui troviamo il giudizio di Dio sulla storia del mondo e l’indicazione per i nostri passi.

 La Santa Messa domenicale

 Stiamo assistendo, in questi ultimi anni, ad una progressiva erosione della frequenza alla santa messa domenicale. Le nostre celebrazioni liturgiche, che vorrebbero essere più partecipate, sono spesso più deserte. Segno che non bastano canti, accoglienza, abbracci di pace. Occorre aiutare le persone a riscoprire il grande tesoro della santa messa, presenza di Cristo, morto e risorto, nella nostra vita. E soprattutto occorre riannunciare Cristo e la fede, perché senza fede la messa è solo un evento ripetitivo, noioso e incomprensibile, tanto più lontano quanto più lo si vorrebbe attualizzare. 

Abbassamento e gloria

Quest’anno mediteremo la seconda parte del Vangelo di Giovanni (cioè i capitoli da 13 a 21), il Libro della Gloria. Esso potrà essere uno strumento formidabile di aiuto proprio nell’affronto delle domande che abbiamo tutti sulle labbra e nel cuore. Che rapporto esiste tra morte e vita? Tra abbassamento e gloria? Tra sconfitta apparente e reale vittoria? Come attraversare il tempo della difficoltà e del buio, vivendo già l’anticipo della luce della resurrezione? Queste e altre questioni che riguardano il nostro presente potranno trovare una risposta, non certo meccanica, attraverso la meditazione di questa parte del Vangelo. Il testo scritturistico letto nella Chiesa dalla comunità cristiana, animata dallo Spirito di Cristo, suscita nella stessa comunità e nei singoli credenti le strade per vivere con creatività e verità la fedeltà a Cristo nel nostro tempo con le sue nuove domande.

 Leggere il presente

 La Chiesa dunque non ci lascia soli. Dobbiamo chiedere alle nostre comunità, ai nostri sacerdoti, alle nostre guide spirituali, ai tanti fratelli e sorelle che vivono la fede accanto a noi di aiutarci in questo discernimento sul presente. Non stiamo vivendo la fine del mondo, ma piuttosto un tempo in cui la nostra fede cristiana chiede di esprimersi in forme nuove attraverso le nuove circostanze in cui la storia del mondo si va svolgendo.

Talvolta ci sembra soltanto di vedere il sole che tramonta. La fede, la carità e la speranza ci permettono invece di scoprire l’alba che si preannuncia. Quante famiglie ancora vivono il sacramento del loro matrimonio come un incontro gioioso con Cristo, sentendosi così una cellula viva della comunità cristiana! Quante ne incontro durante la visita pastorale, durante le udienze, nelle occasioni a loro dedicate! Quante mettono al mondo ancora dei figli! Sanno di non essere incoscienti, godono della confidenza in Dio. Sono felici dei sorrisi dei loro bambini e della possibilità di rinnovare la vita del mondo attraverso il dono di nuove creature. Quante famiglie adottano dei bambini che sono stati abbandonati! Quante dedicano una parte del loro tempo a situazioni di bisogno e di povertà!

Quotidianamente incontro ragazzi, adolescenti e giovani alla ricerca di un senso della loro vita. Quanti di loro hanno incontrato Cristo e non lo lascerebbero più per nessun motivo! Quanti decidono di dedicare una parte consistente della loro vita al volontariato sociale o internazionale! Le opere di carità, così vive nella nostra Chiesa, testimoniano che la fede è una brace che non si è spenta: dobbiamo alimentarla perché certamente ogni stagione della vita ha bisogno di nuove ragioni e nuove risposte.

La fede cristiana spinge all’impegno e al sacrificio, alla creatività e alla gioia. La nostra è una terra nella quale il lavoro ha un grande posto ed è tenuto in particolare considerazione. Vorrei con i giovani riprendere le strade di un loro possibile impegno non solo verso responsabilità sociali, ma anche nella vita politica, secondo le linee maestre tracciate dalla Dottrina Sociale della Chiesa. È un invito pressante di papa Francesco, di cui il nostro Paese ha più che mai bisogno. I grandi politici cristiani, come Alcide De Gasperi, che hanno contribuito decisivamente alla ricostruzione del nostro paese dopo la seconda guerra mondiale, sono stati aiutati dallo Spirito Santo nella loro azione creativa. Anche oggi abbiamo bisogno dell’aiuto dello Spirito per individuare nuove strade di intervento dei cristiani nella vita politica assieme agli uomini e alle donne che condividono la proposta umanistica del Vangelo.

 Nuova presenza sul territorio

 Ho voluto sottolineare in questa prima parte della mia omelia un giudizio sul momento che stiamo vivendo, per aiutarvi a guardare con creatività e fede ai nostri giorni. Come Chiesa, in questi anni, ci siamo impegnati verso nuove forme di presenza sul territorio e una nuova modalità di lavoro nella nostra curia.

Cosa c’entra tutto questo lavoro che abbiamo compiuto con la crescita della fede, della speranza e della carità? Cosa c’entra la semplificazione che stiamo operando degli Uffici pastorali attraverso la loro dislocazione unitaria nella nostra curia? Cosa c’entra l’intenso impegno per una dismissione dei beni inutili ed una semplificazione dei nostri bilanci?

Siamo persone isolate dal mondo, che badano solo a se stesse, che si occupano di discorsi interni alla Chiesa, autoreferenziali? Non penso proprio che sia così. Così come la Chiesa vive solamente di Cristo e per Cristo, come la luna che riceve la sua luce dal sole, allo stesso modo essa vive per gli uomini. Soltanto la passione per gli uomini, per la loro vita, per il loro bene può dare ragione delle nostre strutture e delle nostre iniziative. Altrimenti tutto sarebbe come un gioco di carta che può tenerci occupati, ma che infine non avrebbe nessun peso nella storia di Dio con gli uomini.

Se abbiamo pensato alle unità pastorali è perché desideriamo che nella nostra diocesi, ben consapevoli delle lentezze e delle fatiche necessarie, ci siano comunità vive, in cui presbiteri, diaconi, laici e religiosi possano sperimentare delle forme di vita comune, essere il cuore pulsante che raggiunge le periferie esistenziali, come hanno fatto gli apostoli. Essi uscirono da Gerusalemme, certamente anche a causa di una persecuzione, ma con lo scopo di raggiungere le regioni più disparate del mondo.

Facciamo fatica ad allontanarci dal nostro campanile. Quel calore che sperimentiamo nelle nostre comunità ci è dato per essere trasmesso, per riscaldare le vite dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. La Chiesa non si misura dai numeri dei suoi aderenti, anche se nessun numero va disprezzato, ma dall’intensità e dalla profondità con cui le nostre comunità vivono quotidianamente l’incontro con il Signore e il suo mandato missionario.

 Anno santo della Ghiara

 Quest’anno ci è offerta un’occasione bellissima per il rinnovamento delle nostre vite. Ricorre infatti il quattrocentesimo anniversario della traslazione dell’immagine della nostra Madonna della Ghiara dal muro dove era stata dipinta alla Basilica costruita per accoglierla. La Santa Sede ha risposto positivamente all’invito della nostra Chiesa e dei padri Serviti affinché questo sia un anno giubilare, un anno cioè di rinnovamento, anche attraverso l’indulgenza plenaria. Molte sono le iniziative già in cantiere. Ma il cuore del giubileo è la riscoperta di Maria come strada fondamentale della fede. Guardando a Maria, alla sua vita, dall’Annunciazione all’Assunzione, scopriamo tutto l’itinerario della vita del cristiano. Impariamo ancora una volta ciò che è durevole e necessario, ciò che è transitorio e passeggero. Da Maria, però, non impariamo soltanto la fede. Da lei otteniamo la carità che l’ha portata a viaggiare fino alla cugina Elisabetta, che l’ha portata a custodire il proprio Figlio, che l’ha portata sotto la croce. La carità verso tutti i suoi figli che siamo noi. Il Giubileo della Ghiara ci riporti alla recita del Santo Rosario. Penso che a nessuno sia impossibile recitare almeno una decina al giorno. Sappiamo dalla Madonna che attraverso il Rosario si ottengono un’infinità di grazie.

Con questa fiducia apriamoci al nuovo anno pastorale e affidiamoci alle braccia della Madre. Amen.

 

INTERVENTO CONCLUSIVO

Messaggio del vescovo al termine della celebrazione dell’8 settembre

Cari fratelli e sorelle,

 al termine di questa celebrazione così significativa e raccolta, desidero soffermarmi ancora un momento con voi per invitarvi alla preghiera e al digiuno, come ho già fatto con la lettera a tutti i parroci, al fine di implorare dal Signore la santità dei ministri della Chiesa e infine di tutti noi.

Durante questi ultimi giorni alcune persone mi hanno chiesto con insistenza un giudizio su quanto sta accadendo nella comunità ecclesiale, quasi a voler pretendere da me che io mi schierassi per una parte piuttosto che per un’altra. Non mi sembra questo il modo più vero né più efficace per leggere cristianamente ciò che sta accadendo. Ho chiesto a tutti i parroci e infine a tutti i fedeli di aderire all’invito del papa alla preghiera e al digiuno. Al papa Francesco desidero ancora una volta esprimere il nostro affetto filiale e la nostra preghiera per il suo ministero così importante e delicato. Mi sembra che la lettera del Santo Padre al Popolo di Dio colga molto efficacemente ciò di cui c’è più bisogno oggi e quindi sia anche il giudizio adeguato su quanto sta accadendo: oggi c’è bisogno della nostra conversione. Non innanzitutto della conversione degli altri, di coloro che non la pensano come noi, di coloro che sentiamo schierati diversamente, ma della nostra, di ciascuno di noi. Ciascuno di noi infatti ha una necessità urgente: confessare a Dio le proprie colpe, chiedere perdono e iniziare una nuova vita. Se tutti cominciassimo a fare così, la Chiesa mostrerebbe in modo più luminoso la propria santità.

Leggendo i giornali di questi giorni, che cosa vediamo? Il grande tentativo di moralizzare la Chiesa non a partire dalla conversione personale, ma dalla moralizzazione degli altri. Abbiamo pensato che bastassero le nostre povere forze umane per una riforma. Essa invece, per essere veramente efficace, ha bisogno dell’intervento di Dio, da noi riconosciuto, supplicato, affinché dal suo perdono nasca la pianta nuova della santità.

La meditazione dell’Antico e del Nuovo Testamento dovrebbe sorreggere e illuminare la direzione del nostro cammino. Siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione; siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati (Dn 3,37): così si esprime il profeta Daniele. Ma questa situazione può essere paradossalmente la strada per un nuovo inizio. Scorgendoci in lotta gli uni contro gli altri, non possiamo far altro che implorare l’aiuto di Dio perché converta i nostri cuori. Anche san Paolo notava le divisioni nelle sue comunità, e poteva dire sarcasticamente: Se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! (Gal 5,15). Di fronte alla sua comunità più divisa, quella di Corinto, e alle fazioni che volevano sostenere la pluralità dei loro riferimenti, egli ha genialmente espresso la sua teologia del Corpo di Cristo, in cui ciascuno ha un suo dono, ma tutti siamo di Cristo (cf. 1Cor 12,12-29).

Non voglio con questo affermare che tutti hanno torto e tutti hanno ragione, ma semplicemente dire che la ricerca delle ragioni e dei torti non sarà mai sufficiente né adeguata a fondare la comunione. Occorre riconoscere l’unità della Chiesa attorno al sacrificio e alla resurrezione di Cristo, confidare in lui, sapendo che lui è alla guida della Chiesa.

Stiamo vivendo un periodo difficile, ma anche di grande purificazione. All’interno del corpo ecclesiale è maturata una consapevolezza nuova a riguardo dei terribili abusi sessuali, di coscienza e di potere commessi da parte di alcuni suoi membri. Quando si è a conoscenza di questi abusi, quando si è verificata con serietà la veridicità delle accuse, si deve agire con tempestività affinché i piccoli e le persone indifese non siano colpite ancora. Questa nuova consapevolezza è un bene per la Chiesa e per la società. Non deve portarci a vedere soltanto male nella Chiesa, non deve portarci a vedere il male dove non c’è, ma deve aiutarci a riconoscere il male compiuto e nello stesso tempo a perseguirlo con equilibrio e determinazione. La sofferenza immane di tante persone chiede a noi tutto questo. Lo chiede soprattutto la santità della Chiesa, Corpo di Cristo, che egli vuole che gli sia presentata tutta gloriosa, senza macchia né ruga, ma santa e immacolata (Ef 5,27).

 Per tutte queste ragioni, volendo dare un piccolo esempio, io stesso reciterò il santo rosario una sera al mese, con tutti i fedeli che vorranno unirsi a me. Ci incontreremo presso la Cappella del Vescovado. Sul libretto della messa troverete le date, gli orari e l’indirizzo. Dopo la preghiera, al posto della cena digiunerò insieme a chi vorrà fermarsi: prenderemo un po’ di riso bollito ascoltando delle letture che ci accompagnino nel silenzio. Il costo della cena lo verseremo per gli alluvionati del Kerala. Desidererei che ogni parrocchia, nei limiti del possibile, offrisse per i suoi fedeli qualcosa di simile.

Preghiamo tutti con fiducia filiale nel Signore e con sincero pentimento: “Risparmia Signore il tuo popolo!” Il grido di tutta la Chiesa salga a Dio, ben sapendo che dalla luminosità e dalla trasparenza del Corpo ecclesiale verrà un grande beneficio anche per il cammino di tutti gli uomini nel mondo”.

 GLI ALTARI IN FIORE