Sala gremita alla presentazione del libro “Scontenti” di Marcello Veneziani, ospite dell’associazione Balder

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La presentazione dell’ultimo libro dello scrittore e giornalista Marcello Veneziani, ospite dell’associazione culturale Balder, presieduta da Marco Eboli, sabato pomeriggio, alla sala convegni dell’Hotel Astoria, ha visto la sala gremita da oltre 150 persone. Il pomeriggio culturale si è snodato lungo un percorso nei meandri della scontentezza e degli antidoti per ammansirla e cavalcarla, attraverso un dialogo tra il presidente dell’associazione culturale Balder Marco Eboli e Marcello Veneziani.

Ne è scaturito un quadro che assegna alla scontentezza il doppio significato di veleno e medicina. Il primo lo è se ci si abbandona ad essa, la seconda se la si sa vivere e cavalcare come opportunità di miglioramento. Gli italiani sono, secondo l’autore, un popolo di scontenti che però attraverso l’arma dell’ironia riescono ad ammansirla e sdrammatizzarla. La scontentezza ha origine da problemi platenari, le guerre, la pandemia, il cambiamento climatico e feconda ancora di più in situazioni degradate. Si pensi a molte città con i quartieri dormitorio, lasciare al degrado materiale e di arredo, attraversate da moltiduni di immigrati, senza fissa dimora che aggiungono alle brutture urbanistiche l’accresciuta sensazione di insicurezza.

La perdita di luoghi identitari è associata anche al venir meno di senso della vita, dei valori profondi quali le originarie tradizioni, cultura, fede religiosa che minano alla base il senso di sentirsi nazione, popolo, Patria. La categoria degli scontenti per antonomasia, secondo Veneziani, sono gli intellettuali perché sempre alla ricerca di nuove creazioni, a condizione che non diventino megafono del potere perché in tal modo verrebbe meno il senso critico tipico del loro ruolo.

In politica poi, sostiene Veneziani, l’essere scontenti, se si trasforma in malcontento, protesta, voglia di modificare situazioni ritenute insopportabili è un motore positivo. La conclusione è che il mondo si regge su chi accetta la sorte ma cammina sulle gambe degli scontenti.