Rossi: “Causa Covid, quest’anno ogni reggiano perde circa 3.300 euro. La regione torna ai livelli di 20 anni fa”

A causa del Covid, quest’anno ogni reggiano registrerà una perdita, per quanto riguarda il valore aggiunto pro-capite, di ben 3.374 euro in valore assoluto e in percentuale del -10,4% rispetto al 2019, anno in cui aveva raggiunto il valore di 32.463 euro: nel 2020 sarà infatti di 29.089 euro.
La regione Emilia Romagna passerà da un valore aggiunto pro-capite di 31.900 euro del 2019 ai 28.671 di quest’anno con una perdita in valore assoluto di 3.229 euro e in percentuale di -10,1%; inoltre il PIL dell’Emilia Romagna è stimato che passerà dai 158.612 milioni di euro del 2019 ai 142.953 milioni di euro del 2020, con una perdita in valore assoluto di 15.660 milioni di euro e in percentuale del 9,9%, retrocedendo ai livelli del 2000 e perdendo ben 20 anni. A stimare la contrazione del valore aggiunto per abitante a livello provinciale è stato l’Ufficio studi della CGIA di Mestre, che in un report del 7 novembre
Per quanto, poi, riguarda l’andamento degli occupati stima gli occupati in regione nel 2020 in 1.990,800 a fronte dei 2.032,600 del 2019 con un calo in valore assoluto di 41.800 unità e in percentuale segnala una flessione del 2,1%.

Lo stesso report segnala che ogni italiano perderà, quest’anno rispetto al 2019, mediamente quasi 2.500 euro (precisamente 2.484), con punte di 3.456 euro a Firenze, di 3.603 a Bologna, di 3.645 a Modena, di 4.058 a Bolzano e addirittura di 5.575 euro a Milano. Lo stesso report ha inoltre denunciato un altro dato particolarmente allarmante: anche se subirà una riduzione del Pil più contenuta rispetto a tutte le altre macro aree del Paese (- 9%), il Sud vedrà scivolare il Pil allo stesso livello del 1989. In termini di ricchezza, pertanto, “retrocederà” di ben 31 anni.
Gli artigiani mestrini tengono a precisare che i dati emersi in questa elaborazione sono sicuramente sottostimati. Aggiornati al 13 ottobre scorso, non tengono conto degli effetti economici negativi che deriveranno dagli ultimi DPCM che sono stati introdotti in queste ultime due settimane.

“Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell’anno chiuderanno definitivamente i battenti – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale. Soprattutto nel Mezzogiorno, che è l’area del Paese più in difficoltà, c’è il pericolo che le organizzazioni criminali di stampo mafioso cavalchino questo disagio traendone un grande vantaggio in termini di consenso. In questa fase di emergenza, pertanto, tutto ciò va assolutamente evitato, sostenendo con contributi a fondo perduto non solo le attività che saranno costrette a chiudere per decreto, ma anche una buona parte delle altre, in particolar modo quelle artigianali e commerciali, che, sebbene abbiano la possibilità di tenere aperto, già da una settimana denunciano che non entra quasi più nessuno nel proprio negozio. Infatti, solo se riusciremo a mantenere in vita le aziende potremo difendere i posti di lavoro, altrimenti saremo chiamati ad affrontare mesi molto difficili”.

Dichiara il segretario Renato Mason: “Con una pressione tributaria insopportabile, una burocrazia opprimente che ingiustificatamente continua a penalizzare chi fa impresa e un calo degli investimenti molto preoccupante che colpisce soprattutto quelli di natura pubblica, c’è un’altra grossa criticità che rischia di penalizzare tante piccole e medie imprese. Ci riferiamo alla nuova misura introdotta dall’Unione Europea in materia di credito”.
La preoccupazione, conclude la CGIA, riguarda la tenuta occupazionale. Se nei prossimi mesi il numero dei disoccupati fosse destinato ad aumentare a vista d’occhio, la tenuta sociale del Paese sarebbe a forte rischio. Grazie all’introduzione del blocco dei licenziamenti, quest’anno gli occupati scenderanno di circa 500 mila unità. Un dato certamente negativo, ma lo sarebbe stato ancor più se la misura sopracitata non fosse stata introdotta dal Governo nel marzo scorso.

G.A. Rossi