“Razzismo sullo scenario affascinante della Monument”, di Corrado Barbieri

Ormai sappiamo che solo una decina scarsa di film western hollywoodiani sono da considerarsi validi e accettabili, con buona pace di produttori, registi, attori che hanno lavorato per le centinaia di pellicole di quel genere apparse nel corso di almeno mezzo secolo.
Aldila’ delle mode, e’ il risultato ovvio delle mistificazioni della storia, che, pur soggetta in tutto il suo corso a questo fenomeno, più di tanto evidentemente non può essere bistrattata…
L’affascinante e al contempo odioso “ Sentieri selvaggi “ ( The searchers ) del 1956 e’ senz’altro tra questi, grazie alla mano magica di John Ford.

Nel suggestivo e selvaggio scenario della Monument Valley, posta tra Utah e Arizona, si dipana la vicenda di una bambina rapita da una piccola tribù indiana e della sua spasmodica ricerca da parte di due uomini ( Ethan Edwards, lo zio, impersonato da John Wayne e dal fratello adottivo Martin Pawley, ruolo ricoperto dal valido e prematuramente scomparso Jeffrey Hunter ) che per portarla a termine impiegheranno cinque anni.

L’opera ha anche un risvolto storico come documento di quel periodo, che ci mostra la vita durissima e per nulla epica dei pionieri, le gesta assolutamente deprecabili dell’ esercito americano nelle circostanze di quei tempi, e la miseria di un popolo di nativi ormai prossimo alla completa emarginazione.
Le musiche, splendide e ben posizionate, sono dei classici che fanno parte del ricchissimo book song americano, tra cui motivi che risalgono alla guerra di secessione.

La vicenda, otticamente resa affascinante e piacevole dai campi lunghi che erano la specialità di ripresa di Ford, ha come tema di fondo l’odio di Ethan per gli indiani, il vero motore che lo spinge a comportamenti ripugnanti . Fin dalla sua apparizione la pellicola inizia a innescare un dibattito, che non solo non si affievolirà, ma aumenterà di tono nel tempo, con critici che a terzo millennio inoltrato ancora dissertano sul -se- l’opera e’ un concentrato di razzismo o no ( e lo strano e’ che i secondi ne siano convinti…)
Aldila’ delle affermazioni contenute nei dialoghi, ecco i punti più critici del film nel senso razziale : Ethan spara ai branchi di bisonti perché vi siano “ pance vuote “, come dice esattamente, ed e’ anche storicamente provato che i coloni bianchi agirono cosi’ e per quello scopo, su una scala che decimo’ quella specie bovina.

Le bambine bianche rapite dagli indiani, nella pubertà erano pronte per essere mogli dei capi. Ethan e’ quindi deciso, quando dopo anni la trovera’, a uccidere la nipote, che immagina ormai “ contaminata “ da abitudini indiane, e l’inseguimento perde la motivazione del salvataggio per assumere anche un connotato paranoico e perverso . Fa da contraltare a tanta brutalita’ il personaggio di Martin ( anch’esso disprezzato da Ethan in quanto ha un ottavo di sangue indiano…), pronto a frenare anche pistola alla mano gli intenti dello zio.

Il capo indiano, di nome Scar ( chissa’ perche’ trasformato nella versione italiana in Scout) verrà ucciso da Martin, ma Ethan, non appagato, sfoderato un coltellaccio scotenna il morto…
Ethan rincorre la nipote ( interpretata a questo punto dalla bellissima Natalie Wood ) e solo in extremis gli verrà l’impulso di prenderla in braccio e portarla in salvo a casa.

I commenti sono superflui, resta solo da capire l’intento di John Ford di inserire un personaggio di quella rozzezza e di quella paranoia in un opera per molti versi romantica e ironica.
La sensibilità’ e il talento di Ford fanno ipotizzare che lo scopo dell’opera intera fosse di denuncia delle brutalità e dei genocidi compiuti a man bassa dai bianchi verso la nazione indiana, e in tal senso il grande regista sarebbe un precursore, visto che fino all’uscita del film e ben oltre gli indiani restavano “ i cattivi” della situazione.

Se John Wayne non era certo nuovo a ricoprire le parti del soldato brutale ( non scordiamo l’ottimo “ Soldati a Cavallo “ sempre di Ford ), e’ Jeffrey Hunter che si rivela attore fresco, spontaneo, attraente, un altro tocco giusto di Ford.
Un film in ogni caso da rivedere per riflettere sui cambiamenti culturali che hanno caratterizzato il passaggio del secolo/millennio, decisamente per fortuna di tutti orientati verso la ricerca del vero.

Corrado Barbieri