Quando a Reggio Emilia la pena di morte era spettacolo

A Reggio Emilia nell’800 si registrava una singolare forma di spettacolo al quale partecipavano persone di diverse estrazioni economico-sociali. La location era il Tribunale situato in centro storico, ricavato da un ex convento di monache. Gli spettacoli erano le udienze in Corte d’Assise, dibattimenti chiamati dai reggiani “debà”.Chi tifava per l’arringa di un avvocato, chi per l’altro.

A descrivere quel pezzo di storia reggiana, sulle pagine del Carlino Reggio, l’ottimo giornalista Glauco Bertolini nella rubrica “La Reggio dimenticata”.

“Si registravano spesso veri e propri assalti alle udienze della corte d’assise da parte di un pubblico eterogeneo -scrive Bertolini-: popolani, rustici, borghesi, signore in grandi cappelli con veletta , tutti transitati un po’ in soggezione sotto la pomposa scritta a lettere dorate della facciata: «Corte di Giustizia Civile e Criminale». Dopo aver assistito, innocentisti e colpevolisti si fronteggiavano a colpi di polemiche. E i cronisti ci inzuppavano il pane”.

Glauco Bertolini illustra infine alcune pene comminate fino al 1890 a Reggio Emilia: “Si potevano comminare pene di morte e lavori forzati. E con quello si andava giù duri anche a Reggio, come si può riscontrare dalle condanne riferite da cronache dei primi anni dell’unità d’Italia. Eccone alcune. 7 febbraio 1863 – Dopo un dibattimento protrattosi per cinque giorni tre condannati a morte (Genesio Tasselli, Giovanni Pellicciari, Giuseppe Lodi) per una efferata rapina in una casa di Rolo, dove il ventenne Fioravante Bellesia era rimasto ucciso. 8 marzo 1865 – Condannato a morte Pietro Farini detto Borghètt, omicida evaso da Porto Ferraio e riacciuffato mentre preparava vendette in quel di Cavriago. 30 marzo e 2 aprile 1867 – Pene capitali a Quirino Dugoni «assassino e provetto malfattore» e al carbonaio Bartolomeo Vincenti per aver strangolato la moglie. 15 giugno 1869 – Pena di morte a Ignazio Fantini detto Toscano per aver derubato di 200 lire e ucciso a coltellate, mentre stava dormendo sotto il ponte di San Pellegrino, il mendicante Paolo Bedogni detto Palotto che «soleva fare mostra e pompa» del denaro racimolato. 9 e 18 gennaio 1862 – Dieci anni di lavori forzati sia a Luigi Venturi per il furto di due vacche sia a Luigi Carletti per il furto di 10.000 lire”.

I tempi sono cambiati e, fortunatamente, la pena di morte non esiste più. Rmane però, anche ai giorni nostri, una sorta di spettacolo l’assistere a quanto accade nella Giustizia italiana.

Ci sono cittadini che nel week end vanno allo stadio a tifare per la propria squadra del cuore e alcuni lo fanno con talmente tanto calore che talvolta sfocia in qualcosa di più aggressivo, fino alla sanzione penale. E ci sono altri cittadini che durante la settimana si recano nelle aule del Tribunale di Reggio Emilia per assistere alle udienze di fatti riportati sui media locali.

C’è chi addirittura ha preso un giorno di ferie dal lavoro per seguire un recente caso di omicidio e, per non perdersi nemmeno un secondo del dibattimento, si è portato la merenda da casa.

Altri seguono le udienze per conoscere morbosamente dettagli su fatti e persone al fine di farli diventare chiacchiericcio di popolo. Altri ancora perchè tifano per il loro avvocato preferito e non vogliono perdersi il fascino di ascoltarne l’arringa.

Quanto alla pena di morte, fra i giovani reggiani di oggi si sta diffondendo un disagio nei confronti della Giustizia (ndr, disagio dovuto principalmente alla non certezza della pena) e un sentimento a favore della pena capitale. “Se un assassino viene liberato poco dopo, e quindi potrebbe ancora ammazzare, allora è meglio che venga ucciso lui no?”, ha detto Marco, studente 16enne di un istituto superiore reggiano durante una conferenza sulla pena di morte. La sua riflessione ha ottenuto un’ovazione da parte dei coetanei presenti. Un fenomeno che non è da sottovalutare.

Marina Bortolani, @nextstopreggio