Profughi: 2.920 rifugiati nel reggiano. Il bilancio dell’accoglienza

Sono giovani (il 73% ha meno di trent’anni), il loro livello di istruzione – seppure basso – è superiore a quello medio dei Paesi di provenienza, sono in prevalenza uomini adulti (le donne sono il 7,2% e i minori il 2%) e hanno abbandonato le loro terre prevalentemente per motivi economici. E’ questo il sintetico ritratto dei 2.920 richiedenti asilo giunti dal 2014 al 30 giugno 2018 nel territorio reggiano, con 1.620 persone ancora presenti alla fine del primo semestre dello scorso anno. 

Le cifre, ma anche le dinamiche dei percorsi di accoglienza, i servizi offerti alle persone, le modalità di integrazione, la distribuzione nel territorio per finire con gli impatti economici legati all’accoglienza straordinaria, sono racchiuse nel bilancio messo a punto dalle associazioni e cooperative sociali raggruppate nelle reti che in questi anni sono state impegnate in prima linea per far fronte a quella che hanno definito una vera e propria “emergenza umanitaria”. 

Il “Bilancio dell’accoglienza a Reggio Emilia” è stato presentato in anteprima (e altri incontri avverranno nelle diverse aree del territorio) a istituzioni, amministrazioni e servizi pubblici da parte del Ceis e delle cooperative sociali Centro Sociale Papa Giovanni XXIII, Coress-Il Piccolo Principe, Dimora d’Abramo, La Vigna, L’Ovile e Madre Teresa nell’ambito di un evento inserito nelle manifestazioni celebrative del settantesimo di fondazione di Confcooperative Reggio Emilia, che anche in questo modo ha voluto riaffermare il profondo legame della cooperazione con il territorio e le comunità. 

Non a caso – nell’ambito della presentazione cui sono intervenuti il Vescovo Massimo Camisasca e il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, con in sala i più alti esponenti delle istituzioni, amministrazioni locali e servizi pubblici – il presidente della centrale cooperativa, Matteo Caramaschi, aprendo i lavori, ha parlato di quello sull’accoglienza come di “un vero e proprio bilancio di comunità, perché a ciascuno restituisce gli esiti di quanto è accaduto e parla di una capacità di accogliere che si è affermata anche facendo i conti con i distinguo, i sospetti, le critiche e le paure”. 

Sulla stessa linea la premessa delle associazioni e delle cooperative sociali alle cifre e ai percorsi riassunti nel bilancio, che è un modo per “rendere conto” della realtà dei fatti quel che è stato fatto nel territorio per le persone in fuga da situazioni non scelte e per quelle che, a propria volta, si sono trovate a compartecipare ad un’accoglienza, anche questa, non scelta né, probabilmente, desiderata. 

Ma il bilancio va oltre, per rendere evidenti – spiegano gli estensori – i tanti impegni che si sono intrecciati fra istituzioni, amministrazioni locali e servizi pubblici, mondo del volontariato e dell’associazionismo, comunità e cittadini, con in testa quelle cooperative e associazioni che sono storicamente nate per accogliere e da decenni sono impegnate a sostegno di persone e famiglie in difficoltà e nell’inclusione sociale e lavorativa di quanti sono a rischio di emarginazione. 

Il territorio reggiano, in sostanza – osservano coop sociali e associazioni – di fronte ad un’urgenza umanitaria è divenuto a maggior ragione accogliente perché già lo era. 

LE CIFRE DELL’ACCOGLIENZA 

Passando alle cifre, i dati riferiti al 30 giugno scorso (con una successiva tendenza al calo), parlano della presenza di 1.620 persone (dal 2014 alla stessa data ne sono giunte 2.920), con un’incidenza del numero di richiedenti asilo sulla popolazione reggiana pari allo 0,3%, cifra in linea con il dato nazionale che vede l’Italia al sedicesimo posto, in Europa, per numero di rifugiati in rapporto alla popolazione, largamente preceduta, ad esempio, da Svezia (2,4%), Malta (1,74%), Austria (1,3%), Germania (1,18%), Olanda (0,61%) e Francia (0,5%). 

I numeri – ha spiegato i presidenti di Dimora d’Abramo (Luigi Codeluppi), Madre Teresa (Lisa Vezzani), Centro sociale Papa Giovanni XXIII (Matteo Iori) e L’Ovile (Valerio Maramotti) – non parlano dunque di “invasioni”, tanto è vero che la graduatoria dei continenti con le maggiori concentrazioni di rifugiati vede in testa l’Africa (più di 6 milioni), l’Asia (4,2 milioni, escludendo la Turchia, che da sola ne accoglie oltre 3 milioni) e, infine, l’Europa con 2,6 milioni. Il Vecchio Continente, poi, vede in testa la Germania (970.000) seguita da Francia (337.000), Svezia (240.000) e Italia (167.000). 

Gli arrivi hanno subito un drastico ridimensionamento sia in Italia che in provincia di Reggio Emilia dopo l’accordo Italia-Libia del luglio 2017; fino a quella data, infatti, gli arrivi nella nostra provincia erano stati 635 (in linea con un 2016 che si era chiuso con 1.275 arrivi, in netta crescita rispetto ai 558 del 2015 e ai 323 del 2014), mentre da metà luglio a fine dicembre 2017 sono stati 79, chiudendo l’anno a 744. 

Rispetto al dato nazionale che registra afflussi da molte zone di guerra, i rifugiati giunti Reggio Emilia sono fuggiti soprattutto dalla povertà presente in 26 diverse nazioni (in testa c’è la Nigeria con 639 arrivi, seguita da Costa d’Avorio, Gambia e Guinea); tra loro, 211 donne (126 ancora presenti al 30 giugno 2018) e 64 minori. 

I PERCORSI E LE RICADUTE SUL TERRITORIO 

Le collaborazioni offerte dai comuni reggiani, le convenzioni con 32 amministrazioni locali e quelle con i servizi pubblici, così come quelle in essere con una settantina di realtà culturali, sportive, scolastiche, formative, enti religiosi e altro ancora, hanno consentito – spiegano nel bilancio le associazioni e le cooperative reggiane – quell’accoglienza diffusa che è il primo principio d’integrazione. 

Dall’alfabetizzazione all’assistenza sanitaria, legale e psicologica, passando dalla mediazione culturale, all’informazione su leggi e norme e al dialogo con le comunità ospitanti, i percorsi d’accoglienza sono stati costruiti proprio per assicurare benessere individuale e possibilità di costruttiva convivenza. 

La stessa distribuzione dei rifugiati nel territorio e la tipologia delle residenze corrispondono a questo principio, con l’utilizzo di 298 appartamenti distribuiti su 40 Comuni

La quota prevalente è nel Comune di Reggio Emilia, in cui si concentra anche l’offerta abitativa e la possibilità di accesso a diversi servizi, ma nelle Unioni dei comuni è presente quasi il 48% delle persone accolte. 

All’integrazione, infine, sono stati finalizzati tutti i percorsi per i rifugiati, che in un anno e mezzo si sono tradotti in servizi scolastici per 973 persone, in 325 tirocini lavorativi, in 104 contratti di lavoro, in formazione professionalizzante per 408 persone e in attività di volontariato che hanno impegnato 645 persone. 

Nel bilancio dell’accoglienza a Reggio Emilia spiccano anche le ricadute economiche determinate dalle presenze dei richiedenti asilo, racchiuse in cifre che parlano di 210 occupati, più di 7 milioni di retribuzioni e oneri versati ai diversi istituti, 11 milioni e 600.000 euro per affitti, manutenzioni, utenze, beni e servizi legati all’abitare e, infine, più di 4 milioni di euro per l’acquisto di servizi di vario genere e imposte versate (Irap/Ires) per 494.000 euro.. 

LE PROPOSTE 

Dalla Sala del Capitano del Popolo, dove si è tenuta la prima presentazione del “Bilancio dell’accoglienza a Reggio Emilia”, gli esponenti delle due RTI reggiane hanno riaffermato tutte le preoccupazioni derivanti dalla legge su immigrazione e sicurezza (che metterà centinaia di persone allo sbando nel nostro territorio), ma anche alcune proposte – contenute in un documento diffuso nei giorni scorsi – finalizzate non solo a superare le criticità già emerse con lo smantellamento di alcuni centri d’accoglienza in Italia, ma anche ad una gestione dell’accoglienza che abbia i caratteri della sostenibilità in termini di costi, sicurezza e integrazione. 

La prima: l’istituzione di un permesso di soggiorno per “comprovata volontà d’integrazione”, rilasciato dal Questore sulla base di alcuni elementi certificati, tra i quali il livello di conoscenza della lingua italiana, un regolare contratto di lavoro o almeno la partecipazione a un tirocinio formativo e l’attestazione dello svolgimento di almeno 100 ore di volontariato. La seconda: riconoscere temporaneamente il diritto alla residenza dei richiedenti asilo, permettendo l’accesso alla rete di servizi oggi riservata ai titolari di carta d’identità, riducendo di conseguenza i rischi di fenomeni di devianza sociale, di illegalità e insicurezza. 

La terza, infine: consentire l’accesso dei richiedenti asilo vulnerabili all’interno dei progetti SPRAR, per evitare che ricadano sugli enti locali (Comuni e Regioni) i costi dei servizi sociosanitari che occorrerà comunque erogare.