Papa Francesco riflette sulle amarezze nella vita del prete

Voglio parlarvi di quell’amarezza focalizzata intorno al rapporto con la fede, il Vescovo, i confratelli”. Queste le tre piste di riflessione proposte da Papa Francesco nel discorso rivolto al clero romano e preparato per la liturgia penitenziale del mercoledì delle Ceneri e letto dal cardinal vicario a causa di una lieve indisposizione del Santo Padre. Bergoglio ha tenuto a fare due precisazioni nella sua “riflessione ad intra”. Innanzitutto che le considerazioni sono frutto dell’ascolto di alcuni seminaristi e preti di diverse diocesi italiane e non si possono o devono riferire ad alcuna situazione specifica. La seconda: che la maggior parte dei preti sono contenti della loro vita e considerano queste amarezze come facenti parte del normale vivere, senza drammi.

“Guardare in faccia le nostre amarezze e confrontarsi con esse ci permette di prendere contatto con la nostra umanità, con la nostra benedetta umanità. E così ricordarci che come sacerdoti non siamo chiamati a essere onnipotenti ma uomini peccatori perdonati e inviati. Lasciamo che anche queste “amarezze” ci indichino la via verso una maggiore adorazione al Padre e aiutino a sperimentare di nuovo la forza della sua unzione misericordiosa”, ha affermato il Papa.

Prima causa di amarezza: problemi con la fede.

Ora, il rapporto con Dio – più che le delusioni pastorali – può essere causa profonda di amarezza. A volte sembra quasi che Egli non rispetti le aspettative di una vita piena e abbondante che avevamo il giorno dell’ordinazione. Che differenza c’è tra aspettativa e speranza? L’aspettativa nasce quando passiamo la vita a salvarci la vita: ci arrabattiamo cercando sicurezze, ricompense, avanzamenti. La speranza è invece qualcosa che nasce nel cuore. “Quando riconosco i miei limiti, e che non tutto comincia e finisce con me, allora riconosco l’importanza di avere fiducia”. La speranza si regge su un’alleanza: Dio mi ha parlato e mi ha promesso nel giorno dell’ordinazione che la mia sarà una vita piena, con la pienezza e il sapore delle Beatitudini; certo tribolata – come quella di tutti gli uomini –, ma bella. Bisogna ascoltare la storia e la nostra vita alla luce della Parola di Dio. L’amarezza – che non è una colpa – va accolta.

Seconda causa di amarezza: problemi col Vescovo

“Non voglio cadere nella retorica o cercare il capro espiatorio, e nemmeno difendermi o difendere quelli del mio ambito. Il luogo comune che trova nei superiori le colpe di tutto non regge più. Siamo tutti mancanti nel piccolo e nel grande”. Però rimane il fatto che molta amarezza nella vita del prete è data dalle omissioni dei Pastori- ha sottolineato il Santo Padre.

“Tutti facciamo esperienza di nostri limiti e carenze. Affrontiamo situazioni in cui ci rendiamo conto che non siamo adeguatamente preparati. Ma salendo verso i servizi e i ministeri con maggiore visibilità, le carenze diventano più evidenti e rumorose; ed è anche conseguenza logica che in questo rapporto si giochi molto, nel bene e nel male. Quali omissioni?”. Il vero problema che amareggia non sono le divergenze (e forse nemmeno gli errori: anche un vescovo ha il diritto di sbagliare come tutte le creature!), quanto piuttosto due motivi molto seri e destabilizzanti per i preti.

Prima di tutto una certa deriva autoritaria soft: non si accettano quelli tra di noi che la pensano diversamente. Per una parola si viene trasferiti nella categoria di coloro che remano contro, per un “distinguo” si viene iscritti tra gli scontenti. La parresia è sepolta dalla frenesia di imporre progetti. Il culto delle iniziative si va sostituendo all’essenziale: una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti. L’adesione alle iniziative rischia di diventare il metro della comunione. Ma essa non coincide sempre con l’unanimità delle opinioni. Né si può pretendere che la comunione sia esclusivamente unidirezionale: i preti devono essere in comunione col vescovo … e i vescovi in comunione con i preti: non è un problema di democrazia, ma di paternità.

Meno abituale è l’“equità”: equità vuol dire tenere conto dell’opinione di tutti e salvaguardare la rappresentatività del gregge, senza fare preferenze. La grande tentazione del pastore è circondarsi dei “suoi”, dei “vicini”; e così, purtroppo, la reale competenza viene soppiantata da una certa lealtà presunta, senza più distinguere tra chi compiace e chi consiglia in maniera disinteressata. Questo fa molto soffrire il gregge, che sovente accetta senza esternare nulla. Certo, in questo tempo di precarietà e fragilità diffusa, la soluzione sembra l’autoritarismo. La vera cura sta nell’equità, non nella uniformità.]

Terza causa di amarezza: problemi tra noi

Il presbitero in questi ultimi anni ha subito i colpi degli scandali, finanziari e sessuali. Il sospetto ha drasticamente reso i rapporti più freddi e formali; non si gode più dei doni altrui, anzi, sembra che sia una missione distruggere, minimizzare, far sospettare. Davanti agli scandali il maligno ci tenta spingendoci ad una visione “donatista” della Chiesa: dentro gli impeccabili, fuori chi sbaglia! Abbiamo false concezioni della Chiesa militante, in una sorta di puritanesimo ecclesiologico. La Sposa di Cristo è e rimane il campo in cui crescono fino alla parusia grano e zizzania. Chi non ha fatto sua questa visione evangelica della realtà si espone ad indicibili e inutili amarezze. Papa Francesco prosegue: “Comunque i peccati pubblici e pubblicizzati del clero hanno reso tutti più guardinghi e meno disposti a stringere legami significativi, soprattutto in ordine alla condivisione della fede. Si moltiplicano gli appuntamenti comuni – formazione permanente e altri – ma si partecipa con un cuore meno disposto. C’è più comunità, ma meno comunione! La domanda che ci facciamo quando incontriamo un nuovo confratello, emerge silenziosamente: “chi ho veramente davanti? Posso fidarmi?”.

Qui il dramma è l’isolamento, che è altra cosa rispetto alla solitudine. Un isolamento non solo e non tanto esteriore – siamo sempre in mezzo alla gente –, quanto inerente all’anima del prete. Inizio dall’isolamento più profondo per poi toccarne la forma maggiormente visibile.

Altri passaggi del discorso del Santo Padre sono stati: l’essere isolati rispetto alla grazia; l’isolarsi rispetto alla storia, essere isolati rispetto agli altri.

gar