Mondiali di Calcio per pazienti psichiatrici, vince l’Italia. In squadra il reggiano Manzini

Capita nella vita che si possa vivere un momento di difficoltà per varie ragioni. Quando in ballo c’è la salute, la risoluzione diventa particolarmente importante. Ecco che allora medici e professionisti si prodigano per curare la persona vittima di una malattia, di un incidente, di uno stato psicologico delicato ecc. Cure preziosissime, anzi, fondamentali. Ma talvolta c’è una cornice importante verso l’auspicata guarigione che gli stessi professionisti consigliano: lo sport.

Lo conferma chiaro e tondo anche Enrico Manzini, reggiano 36enne che vive a Vezzano sul Crostolo e che gioca nella Nazionale italiana di Calcio a 5 per pazienti psichiatrici che la scorsa settimana ha vinto a Roma la Dream World Cup 2018, un evento sportivo e sociale al quale hanno partecipato 140 pazienti psichiatrici provenienti da 10 Paesi del mondo e 200 organizzazioni sportive, strutture sanitarie e centri di salute mentale.

Il torneo è stato disputato in Italia in occasione del 40° anniversario della Legge Basaglia finalizzato in particolare a promuovere il valore positivo del calcio come pratica di riabilitazione e reinserimento sociale, abbattendo il muro della paura e della vergogna, spesso troppo diffuse nei confronti della patologia mentale.

Il torneo, della durata di 4 giorni, ha visto la partecipazione di 10 squadre Nazionali (ndr, Italia, Spagna, Argentina, Cile, Francia, Giappone, Perù, Senegal, Ucraina e Ungheria) suddivise in due gironi da cinque; le 8 migliori hanno avuto accesso alla fase ad eliminazione diretta partendo dai quarti di finale per arrivare alla finale del 16 maggio che ha assegnato il titolo mondiale all’Italia e alla quale ha partecipato come titolare nel ruolo di pivot, anche il reggiano Enrico Manzini intervistato da NextStopReggio.

Enrico, partiamo dalle origini che ti hanno portato a far parte della nazionale.

Io gioco da anni a Reggio in un gruppo di persone che hanno vissuto le mie stesse difficoltà, quindi nel 2015 abbiamo partecipato a un torneo nel Salento che si chiama “La testa nel pallone”. Il Dott. Santo Rullo (ndr, noto psichiatra particolarmente impegnato a diffondere lo sport come strumento di riabilitazione per chi soffre patologie mentali) in quel periodo iniziava a pensare di fare un mondiale, così ci contattarono nel 2016 per uno stage a Roma finalizzato alle selezioni.

Selezioni che ti portarono a far parte della squadra nazionale a tutti gli effetti.

Esatto. E dopo la preparazione a Roma con Mister Zanchini e l’ex pugile Cantatore partecipai nel 2016 in Giappone alla prima edizione del Campionato mondiale a 5 per pazienti psichiatrici. Quell’anno l’Italia arrivò terza.

Poi quest’anno (ndr, il campionato mondiale si svolge ogni due anni) la seconda partecipazione ai mondiali. Come vi siete preparati?

Abbiamo fatto un ritiro, con allenamenti mattina e pomeriggio, in parte con mister Zanchini sul campo e in parte con l’ex campione del mondo di pugilato Cantatore per la preparazione atletica. Pensa che abbiamo fatto un allenamento anche nella sua palestra di boxe a Roma!

Dal tappeto di calcio a quello del ring… che cosa ti ha trasmesso partecipare a un allenamento di boxe e quali emozioni rispetto al calcio?

Ho provato invidia, ovviamente in senso buono eh, è uno sport che mi ha affascinato subito moltissimo.

Infine la vittoria e il podio portando lustro all’Italia, con te titolare in squadra. Che emozioni hai provato?

Bellissime! Un sogno che si realizza, sono contento, felicissimo!Già era bello esser stato preso nella squadra Nazionale dopo la selezione, poi ora addirittura la vittoria al mondiale… è stata un’esperienza valorizzante e formativa, sia dal punto di vista sportivo che umano.

Umano in che senso?

Nel senso di far parte di un bel gruppo, positivo, unito e capace di trasmettere in campo tutte le richieste dell’allenatore a partire dal gioco di squadra senza protagonismi. E’ stato anche un sacrificio, perchè ho dovuto chiedere le ferie dove lavoro da una settimana all’altra e devo dire che me le hanno date senza problemi, poi gli allenamenti sono stati impegnativi. Ma siamo stati ripagati abbondantemente, n’è valsa davvero la pena!

Cos’ha portato dentro di te la pratica di uno sport come il calcio?

Nel periodo in cui non stavo bene e vedevo tutto nero i problemi sparivano subito: nel momento in cui giocavo a pallone rimanevano fuori dalla porta. Mi ha aiutato a stare bene, a riprendere contatto con gli altri, a reinserirmi in un gruppo e a ricominciare a stare serenamente insieme agli altri. Lo sport mi ha aiutato tantissimo, è proprio un toccasana.

Marina Bortolani, @NextStopReggio.it