Intervista al regista Hazara dell’Afghanistan Amin Wahidi: “Tutta la verità sull’Afghanistan taciuta dai media. E’ presto parlare di Emirato Islamico. Ecco come Reggio Emilia può aiutare il mio popolo”

Amin Wahidi (foto di Chiara C.)

Amin Wahidi, 39 anni, è un fimmaker indipendente hazara, cittadino italiano dal 2016. Gli hazara erano l’etnia di maggioranza che viveva prevalentemente nelle montagne dell’Afganistan centrale, poi, a seguito delle sanguinose persecuzioni oggi rappresentano circa il 20% della popolazione.
Amin porta nel cuore quelle radici e ogni occasione è buona per raccontare la storia del suo popolo, fatta di guerre e massacri taciuti dai media. Vive in Italia da quasi quindici anni. Nei suoi confronti i fondamentalisti emisero una fatwa mentre nella provincia di Kabul girava un film che raccontava la storia di un kamikaze pentito.
Con il cortometraggio “L’ospite”, dove protagonista è un rifugiato che cerca ospitalità in una Venezia multiculturale, ma dove trova diffidenza e ostilità, Vinse il premio “Città di Venezia” e lo presentò anche a Reggio Emilia.
NextStopReggio l’ha intervistato per un focus-approfondimento di chi in Afghanistan c’è nato e vissuto e porta ancora nel cuore un Paese che oggi come mai ha bisogno della solidarietà internazionale, oltre che di informazioni vere sull’attuale situazione in Afghanistan. “La comunità internazionale non sia frettolosa nel riconoscere lo status dei Talebani”, un consiglio, ma anche un avvertimento, perché qualcosa si può ancora fare.
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Amin, come stai vivendo questo momento di presa del potere dei talebani in Afghanistan?
Purtroppo sto vivendo questa situazione con tanta ansia e preoccupazione, non è una situazione che fa vivere bene o pensare in maniera positiva, persino per quei concittadini che vivono fuori dal paese, perché quello che sta succedendo in Afghanistan sotto gli occhi di tutto il mondo, è un doppio tradimento, sia da parte del Regime di Ghani che ormai viene chiamato dalla gente comune il “ladro della repubblica” sia da parte dell’Occidente e dei paesi della NATO che erano presenti in Afghanistan.
Quello che hanno fatto in questo periodo rimarrà scritto nelle pagine della Storia. Forse il piano di evacuazione doveva succedere un giorno, ma quello che hanno fatto e il modo in cui l’hanno condotto è stato sbagliato.

I media avevano annunciato da tempo il piano di evacuazione.
I media mainstream internazionali avevano già cominciato la guerra psicologica e propagandistica per ingigantire i Talebani e impaurire il popolo, sin da quando avevano annunciato i termini per il ritiro totale. Ogni giorno si parlava di evacuazione del personale delle ambasciate occidentali, quindi, i Talebani avevano cominciato a sfruttare questo momento assaporando la vittoria, mentre i Pashtun dell’esercito, ad ogni livello, lasciavano tutto nelle mani dei terroristi senza nessuna resistenza.     
Come ha detto anche Presidente statunitense Biden, “Noi abbiamo dato molto all’esercito afghano in termini di addestramento, soldi ed equipaggiamento ma esso stesso non ha combattuto per la sicurezza del paese e quindi perché noi Americani dovremmo sacrificarci per qualcosa che a loro non importa?” ed era vero, però lo stesso Biden e l’amministrazione americana, hanno sostenuto il corrotto Ghani fino alla fine, quindi questo vuol dire che in parte gli americani stessi sono colpevoli per aver sostenuto un uomo corrotto di cui non ci si poteva fidare completamente.

Ti aspettavi il crollo così repentino del governo afghano?
Ovviamente no! Non solo io, ma nessuno aspettava un crollo così veloce di tutto il sistema. Tuttavia non è stato un crollo del governo tramite sconfitta militare, ma una svendita di tutto il sistema da parte dei Pashtun tecnocratici (Ghani, Karzai) ai Pashtun fondamentalisti come Talebani (i quali condividono gli stessi valori tribali)  quindi una transazione di potere in modo tranquillo tra tribù che potremmo definire come una “soft transition of power”.

Quali errori hanno commesso gli occidentali?
Uno degli errori commessi dagli occidentali è stato appoggiare le persone sbagliate, i corrotti, i fondamentalisti che si erano vestiti dai tecnocrati (come Ashraf Ghani) che nonostante 40 anni di vita e lavoro in occidente, ha ancora una mentalità tribale e pensa come un uomo del medioevo e promuove l’egemonia etnica Pashtun sulle altre.
I paesi occidentali hanno speso tanti soldi in operazioni militari, ma se avessero investito metà o un quarto di questi nei programmi di sviluppo sociale, in contatto e in coordinamento con la società civile anziché con governanti corrotti, oggi avremmo certamente un paese migliore, senza pericolo di cadere ancora nelle mani dei terroristi.
L’altro errore dei paesi occidentali è stato quello di escludere altre etnie dal potere e dal corpo del governo. Durante il governo di Ashraf Ghani, tutte le etnie perseguitate come Hazara, Uzbeki e Turkmeni sono stati rimossi dalle loro posizioni governative, senza nessun motivo ragionevole. I generali militari sono stati mandati a casa e il potere è rimasto esclusivamente nelle mani di Ashraf Ghani e di tre suoi collaboratori stretti che poi sono scappati via dal paese con centinaia di milioni di dollari in contanti con un aeroplano charter il giorno in cui Kabul è caduta.
Il silenzio della comunità internazionale nei confronti dei gruppi di minoranza etnica e religiosa è stato vergognoso.  Minoranze, tra le altre, come gli Hindu e i Sikh dell’Afghanistan che hanno subìto violenze feroci e sono stati costretti a emigrare in massa scappando dal paese. l’Occidente non ha fatto alcuna pressione o boicottaggio contro il governo Afghano di Ashraf Ghani per impedire tutto questo.   

C’è da credere alla promessa dei talebani di una sharia rispettosa delle donne?
No! “Potrebbe uno squalo non attaccare i nuotatori quando sente l’odore di sangue”? La Violenza fa parte dell’esistenza dei Talebani, è nella loro natura. Senza violenza, senza guerra e combattimenti, senza farsi esplodere, senza distruggere e senza il commercio di droga e armi, i Talebani non hanno esistenza. Per questo non possiamo aspettarci da loro di essere diversi o cambiati. I Talebani sono i Talebani, quindi, con quello che hanno annunciato in questi giorni, hanno uno scopo solo: mostrare una facciata più moderata cercando di eliminare la classificazione come “gruppo terroristico” solo per avere l’appoggio e il riconoscimento del loro status da parte dei paesi Occidentali. Quando si parla di gruppi in pericolo sono sicuramente le donne, ma anche le minoranze etniche e religiose le quali subiscono, da troppo tempo, una vera e propria persecuzione.

Persecuzioni che hanno causato tragici eventi.
Esatto, per ricordarne alcuni cito solo: il massacro di più di 5000 civili, la maggior parte Hazara, nel ’98 a Mazar e Sharif, 1500 a Bamiyan nel 2001, l’attentato avvenuto nel 2016 contro i manifestanti pacifici del movimento “TUTAP ENLIGHTENMENT MOVEMENT” a Kabul fino ai più recenti sanguinosi eventi dell’attentato alla scuola femminile e all’ospedale neonatale di Kabul.
Per tutti questi motivi, è indispensabile e urgente, far uscire dal paese al più presto possibile tutte le persone, donne ma anche uomini artisti, attivisti, studiosi, e coloro che hanno collaborato con le ONG internazionali e tutti coloro che credono e vogliono una società giusta e democratica, perché ora sono a rischio di vita.

Qual è il radicamento dei talebani fra la popolazione?
Rispondo con un detto “Tutti i talebani sono Pashtun ma non tutti i Pashtun sono Talebani”. Da ciò si può evincere che forte fra loro è l’identità e fratellanza etnica.  Ovviamente di fronte ai media la loro verità è coperta solo da motivi religiosi (il più delle volte solo strumentali ai fini politici e per nulla approfonditi), in realtà qui si sta parlando di una vera e propria volontà di “pashtunizzare” l’intero paese a scapito delle altre minoranze etniche e religiose che per natura compongono il mosaico sociale del paese da centinai d’anni.
Le parole che circolano in questi giorni da parte dei Talebani si riferiscono a “governo inclusivo  e rispettoso delle donne ma sotto la sharia”, in realtà non si può delineare un confine preciso a queste parole, lasciano il tempo che trovano e già gli episodi avvenuti per mano dei talebani in questi ultimi giorni parlano chiaro: distruzione della statua in onore a Baba Mazari a Bamiyan, sparatorie contro manifestanti a Jalalabad, interrogatori casa per casa per scovare chi ha collaborato con le forze d’occupazione e tanto altro …. Possiamo quindi parlare di amnistia,  inclusione e rispetto?! 

Cosa sarà l’Emirato islamico nei prossimi anni?
Innanzitutto non si sa ancora se loro rimarranno al potere o se questo embrione di governo sarà effettivamente attivo, perché ad ora non hanno ancora il consenso generale e ci sono nel paese ancora delle resistenze armate nelle province non Pashtun e della società civile nella capitale e in altre città importanti. Bisogna dire che alcuni paesi importanti come l’India sono favorevoli ad appoggiare la resistenza anti-talebana quindi al momento è ancora presto per poter parlare di Emirato islamico a guida talebana.

Il Sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi ha dichiarato che la nostra città “si impegna ad assumere una posizione”. Cosa può fare concretamente Reggio Emilia per l’Afghanistan?
Sicuramente può essere utile lavorare in coordinamento per attivare corridoi umanitari e accogliere queste persone vulnerabili. Questo, più di tutto, ora è indispensabile e necessario.

E la comunità internazionale?
E’ importante che la comunità internazionale non sia frettolosa nel riconoscere lo status dei Talebani, non deve assolutamente essere superficiale, perché più che le parole è importante vedere le azioni, e se necessario, essere pronti anche alle sanzioni. Gli errori del passato non devono essere ripetuti, bisogna aiutare la società civile e supportarla nel progresso sociale ed educativo nel pieno rispetto delle diversità che sono l’anima di questo paese.

Marina Bortolani, @NextStopReggio