La protesta di 400 persone in centro storico contro Draghi e Green pass: “Quanto tutto sarà privato, saremo privati di tutto! Attenzione ai rigurgiti fascisti!”. Fra i participanti anche cittadini di destra

Quattrocento persone hanno protestato per le vie del centro storico di Reggio sabato pomeriggio, con tanto di fumogeni e lancio di banconote fotocopiate da 200 euro.
Due anime, due cortei, in parte uniti nella medesima protesta: quella contro i green pass (ndr, questi ultimi sfilavano in fondo al corteo) e quella contro i tagli economici del Governo Draghi.
Fra le denunce gridate dai microfoni, anche “rigurgiti fascisti sempre più evidenti, da non sottovalutare”.
Singolare che a partecipare al corteo, insieme agli anarchici e militanti del centro sociale, ci fossero anche alcuni no-green-pass che non hanno mai nascosto la propria simpatia per la desta politica, militando nel recente passato in partiti di centrodestra.
Di seguito le regioni della manifestazione.

PROTESTA NO GREEN PASS:
Centinaia di persone sono scese in piazza contro il governo Draghi, contro le politiche liberiste e liberticide che i loschi figuri che ci governano portano avanti da trent’anni. Una manifestazione composita, che ha denunciato a chiare lettere la gestione criminale della pandemia e soprattutto le speculazioni che su di essa sono state fatte: se infatti a noi continuano a chiedere sacrifici, tra zone rosse, lockdown, DAD per gli studenti, licenziamenti, aziende che chiudono mentre i costi di gas e servizi continuano ad aumentare, dall’altro lato, la finanza in questi anni ha visto crescere esponenzialmente i suoi guadagni, così come colossi dell’e-commerce come amazon o social come facebook.
La piazza di oggi ha denunciato chiaramente che non siamo più disposti a tollerare una narrazione che semina paura per coprire la svendita della sanità e della scuola, le privatizzazioni di beni e servizi, a partire dall’acqua e dalla gestione del ciclo dei rifiuti.

Non siamo disposti ad accettare che nel Draghistan (con garante Mattarella) si possa morire di scuola e che le sedi di Confindustria di tutta Italia vengano difese a colpi di manganello contro gli studenti che si ribellano a una scuola che si è ridotta ad essere solo sfruttamento e distanziamento sociale.
Soprattutto, la piazza di oggi ha dimostrato che non siamo disposti a veder giocare ancora sulla nostra pelle le politiche di divisioni e guerra tra poveri che questo governo continua a provare a portare avanti a colpi di lasciapassare e obblighi vaccinali, nella speranza di costruire mostri da sbattere in prima pagina così che non ci si renda conto dei loro loschi affari. Sempre, ovviamente, con la connivenza e collaborazione dell’informazione mainstream.
E invece, nonostante gli articoli che promettevano tensione e parlavano di spaccature e conflitti, la manifestazione di oggi ha dimostrato che sappiamo perfettamente chi è il nemico: Draghi e la sua cricca di portaborse. Ma soprattutto il potere che rappresentano: una finanza che specula sempre di più sulle nostre vite, ma di cui noi non siamo più disposti a pagare i costi economici, e soprattutto sociali, climatici, relazionali.
La manifestazione di oggi è stata una tappa di un viaggio che abbiamo iniziato mesi fa come movimento contro il greenpass ma che si inserisce nel solco di decenni di lotta a un sistema che vuole fagocitare le vite di molti per gli interessi di pochi. Un viaggio che non è ancora finito. Ci vediamo in piazza”.
Uniti Contro il GreenPass – Reggio Emilia
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PROTESTA CONTRO LE SCELTE ECONOMICHE DEL GOVERNO DRAGHI
“Sono decenni che vediamo i nostri diritti, il welfare, i beni comuni, sacrificati sull’altare dell’emergenza di turno, addotta come pretesto per tagliare sulla scuola, la sanità, il lavoro, i servizi e allo stesso tempo per regalare miliardi alla finanza, alle multinazionali o ai colossi militari-industriali.
Sono decenni che paghiamo le crisi e le emergenze di volta in volta create da questo sistema, ed ogni volta ci raccontano la favola che non c’è scampo: la salvezza sta nelle bombe sull’Iraq, nel chiudere le frontiere, nel dare i soldi alle banche, nel green washing dell’industria energetica, nell’investire sui colossi farmaceutici e nelle black farm dei dati digitali, mentre la sanità territoriale viene tagliata, mentre i posti letto negli ospedali si sono ridotti di oltre il 70% negli ultimi 30 anni, e mentre la sanità privata fa affari d’oro grazie alla messa in sofferenza di quella pubblica.

A due anni dall’inizio della pandemia è ormai evidente che questa sia l’ennesima crisi che dobbiamo pagare noi.
Stiamo pagando con le nostre tasche e con le nostre vite in quanto lavoratrici e lavoratori con salari tra i più bassi d’ Europa, delocalizzati e messi alla porta con messaggi whatsapp, sempre al secondo posto rispetto agli interessi d’impresa, mentre le nostre vite e la nostra riproduzione sociale vengono sacrificate sull’altare del profitto capitalista.
Stiamo pagando in quanto studentesse e studenti, personale scolastico e educativo, perché le scuole e i servizi educativi in questi ultimi due anni sono stati l’elemento sacrificabile per consentire il proseguimento sfrenato della produzione. Scuole, università, trasporti, settori che si trovano vittime di tagli e investimenti carenti facendoci pagare l’amara conseguenza di una inadeguatezza strutturale, senza personale sufficiente e spesso poco formato, con educatrici e educatori costretti a dimettersi per via degli stipendi inadeguati, sottoposti a meccanismi di controllo e sorveglianza già adottati e sperimentati a livello industriale, con strutture fatiscenti, che vengono chiuse una dopo l’altra e mai più riqualificate.
Stiamo pagando perché gli ingenti tagli della sanità pubblica a favore del privato la rendono insufficiente a soddisfare i bisogni delle cittadine e dei cittadini. Carenze che, con la pandemia, oggi sono sempre più sotto gli occhi di tutti e tutte: precarietà, pochi posti letto, liste bloccate per prestazioni specialistiche, servizi burocratici e di prenotazione inutilizzabili, tutela e cura delle malattie gravi carente, ospedalizzazione spinta, medicina territoriale in dismissione.
Stiamo pagando con lo smantellamento del sistema pensionistico e dei servizi di cura alla persona. Un lento ma costante declino di un welfare pubblico a tutto vantaggio delle assicurazioni e servizi assistenziali privati.
Stiamo pagando in quanto donne su cui i costi della crisi sono stati scaricati in modo asimmetrico, con un aumento delle diverse forme di violenza di genere intrecciate tra loro: violenza fisica e psicologica ma anche economica e sociale, che si manifestano nella sfera lavorativa, pubblica e familiare. Donne su cui ricade il peso del patriarcato, di cui il modello sociale capitalista storicamente si serve per riprodurre il proprio sistema iniquo.
Stiamo pagando perché i nostri soldi finiscono per finanziare i disastri climatici. A vantaggio delle grandi corporation dell’energia che dopo aver creato guasti planetari oggi impongono soluzioni “green” inutili, comode solo per estrarre ancora più valore dalla natura e dai territori. Una conversione ecologica che non risponde ai nostri bisogni, ma ai bisogni dei potenti, che mettono a rischio le nostre vite, devastando i nostri territori e il pianeta. Stiamo pagando per scelte politiche che cercano di mantenere viva una normalità insostenibile, eludendo l’ineccepibile constatazione che vede antagoniste tra loro l’estrazione capitalista e la salvaguardia degli ecosistemi.
Dal 2001 con la guerra infinita, passando per il 2008 e il 2011, la crisi finanziaria e “l’emergenza migranti”, paghiamo il costo di “crisi” sistemiche che rimodulano la spesa pubblica, limitano diritti, creano capri espiatori, rafforzando un sistema neoliberista che fagocita, sfrutta e devasta tutto quello che incontra sul suo cammino. Sicché mentre l’UE, il caposaldo del neoliberismo in Europa e quindi tra i reali responsabili della miseria del presente, da una parte elargisce briciole in prestiti con l’aggravio delle condizionali modello Troika che da noi si esprimono nel PNRR (miliardi che il governo regalerà al privato a discapito del pubblico), dall’altra è impegnata in un riarmo senza precedenti condito da un’aggressività militarista tipica dei modelli politici della destra reazionaria. Nel nostro paese negli ultimi due anni, quelli della pandemia, le spese militari hanno continuato ad aumentare in maniera esponenziale(26 miliardi per il 2022 di cui 8,3 miliardi per nuovi armamenti) sottraendo miliardi a ciò che invece sarebbe utile come i servizi primari che sono la cartina tornasole del benessere di una società.
Non siamo più disposte e disposti a pagare per tutto questo: serve prendere posizione e costruire opposizione sociale contro un governo e un sistema che incarna l’immagine del neoliberismo, farlo come soggettività che cercano convergenza verso un fine comune: la costruzione di un nuovo modello di società che metta al centro il benessere di tutti e tutte. Mettiamo in gioco le nostre capacità di scendere in piazza, di organizzarci, creare conflitto sociale, riflettere e sciogliere i nodi alla loro radice.
Convochiamo questa piazza perché stanchi e stanche di un comando che mette sempre l’interesse privato davanti al pubblico, stanchi e stanche di assumere singolarmente il peso delle scelte e delle loro responsabilità di governo.
Non siamo più disposte e disposti a pagare ulteriormente i costi di una crisi che il governo Draghi non sta facendo altro che accelerare e rendere più pressante, sia nella gestione quotidiana, sia in quella pandemica. I due piani si sono fusi insieme perché per il governo lo stato di emergenza è “nuova condizione normale” per l’esercizio del potere da parte dell’élite finanziaria e confindustriale.
Abbiamo deciso di far convergere le nostre diverse capacità, i nostri percorsi, i nostri obiettivi, come contributo verso un fine comune, che è quello di una società ed una politica differente, lasciandoci finalmente alle spalle quest’epoca fatta di paura, ricatto, debito e povertà.
Opponiamoci alle scelte politiche di un sistema schierato dalla parte di Confindustria, della finanza, dei colossi big-tech e di quel ceto politico che fintamente si scanna davanti alle telecamere per eleggere un presidente della repubblica italiana che comunque vada non potrà più rappresentare i valori democratici conquistati a caro prezzo in epoche costituenti passate ne avere a cuore le sorti delle classi popolari di questo paese”.

nsr