Intervista alla chef Dolores Boretti: alla guida del prestigioso ristorante Osteria del Viandante di Rubiera per 20 anni, terminerà la gestione dal 7 gennaio. “Il cibo è cultura, con un proprio codice del sapore”

Dal 7 gennaio prossimo, dopo vent’anni di eccellente gestione, il prestigioso ristorante Osteria del Viandante a Rubiera non sarà più gestito dalla nota chef Dolores Boretti. Scelta maturata e siglata prima della pandemia che la porterà a dedicarsi maggiormente ai tanti intessi che una donna eclettica come Dolores ha coltivato negli anni, come la ricerca e la stesura di libri autorevoli. Fra i suoi volumi di particolare successo, “La cucina dei conventi e dei monasteri. Ricette golose fra sacro e profano” e “Il Messale dei Templari di Reggio Emilia”, pubblicato nel 2008 dalla Fondazione Manodori.
Oggi la Boretti si accinge a terminare un’esperienza culinaria considerata unica nel suo genere, forse perché in essa vi ha messo giorno dopo giorno un ingrediente speciale: il proprio cuore. Caratteristica che è parte della sua indole: fare qualsiasi cosa con passione.
E’ stato così anche quando svolgeva la professione di insegnante di latino, ne sono testimone avendo avuto l’onore di esser stata una sua studentessa (ndr, ed è anche il motivo per cui non nascondo un po’ di imbarazzo oggi nell’intervistarla): l’ora di latino era la più attesa in assoluto perché il suo insegnamento andava oltre la materia, che pure insegnava egregiamente. Era anche un momento educativo e formativo. A volte penso che nelle mie scelte di vita, anche quelle ore di latino siano state determinanti: partendo da una semplice traduzione, riusciva a spronare gli studenti a fare ricerca, ad approfondire, a comprendere, seguendo le proprie attitudini e il proprio cuore, nella vita come nel lavoro.
Chiedo scusa ai lettori per questa divagazione, ma non potevo intervistare Dolores Boretti senza far conoscere anche anche questa sua vocazione apprezzata da tantissimi studenti reggiani.
Il 7 gennaio 2021 terminerà un’altra vocazione: l’arte culinaria nell’Osteria del Viandante. Ad acquisire il ristorante nella Rocca di Rubiera, il manager di una casa di moda famosa in tutto il mondo.
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Dolores ci parli di quando iniziò la sua avventura a Rubiera con l’Osteria del Viandante.
Vent’anni fa stavo passando casualmente da Rubiera quando rimasi impressionata dal fascino della Rocca, sebbene fosse chiusa da diverso tempo. Considerando che avevo intenzione di portare l’Osteria del Viandante dalla collina alla pianura, dissi subito a mio marito Roberto di informarsi con il proprietario. Da quel momento sono trascorsi 20 bellissimi anni, fatti di sacrifici, di studio, di lavoro, ma, specialmente, di immense soddisfazioni. La clientela, oltre alla qualità dell’offerta, ha sempre trovato un ambiente famigliare, assaporando in ogni piatto il phatos del “fare da mangiare” tramandato dalla mia bisnonna alla nonna, alle zie e infine a me, tenendo sempre presente il codice del sapore.

Phatos del fare da mangiare” “Codice del sapore”… cosa significano?
Il “phatos del fare da mangiare” è il cucinare mai fine a se stesso, ma costantemente finalizzato a ristorare qualcuno attraverso il “codice del sapore”, che è un linguaggio particolare privo di parole, perché è il cibo stesso a essere parola. Quindi, ad esempio, il cibo che attraverso un buon dolce azzera la malinconia, o una carne cotta ai ferri su una bella tavola apparecchiata che allevia lo stress. Si tratta di una comunicazione che si è tramandata di generazione in generazione: memoria e allo stesso tempo ricerca verso nuovi orizzonti.

I nuovi orizzonti in cucina non rischiano di mortificare la tradizione?
No, assolutamente. La ricerca del nuovo contemporaneo è importante per stare bene a tavola, salvaguardando il nostro benessere e la nostra salute. Inoltre la tradizione non è statica, ma mutevole. Nel Medioevo c’è stata la più grande globalizzazione del mondo: ciascuno rimodellava le esperienze raccolte, e così è avvenuto anche con il cibo. Ecco quindi che l’identità in realtà è il trionfo della diversità. Pensiamo anche alla parola “tradizione”= tradere, tradire, ma anche tradurre, modificare. Una tradizione di per sé si modifica quindi nel tempo. Il nostro piatto di spaghetti che tutti pensano sia italiano al 100%, in realtà è un misto di incontri e di culture.
Lo zoccolo duro della cucina diventa così memoria storica dello chef, anche se il termine “chef” non mi piace molto.

Perchè?
Perchè il termine “chef”, maschile, è di natura gerarchica-militare: lo chef era un capo militare e le donne non erano comprese. Esistevano le cuoche, termine che oggi, con l’avvento della moda dello “chef”, sembra quasi dispregiativo. Io invece rivendico con orgoglio l’essere “cuoca”, che fa un passo indietro per trovare l’essenza della materia creando un piatto puro.
Gli chef che vediamo in televisione spesso sono uomini narcisi, se ci fa caso, fra i giudici non ci sono mai le donne. Gli chef proposti da molti media tendono a proporre piatti arzigogolati snaturando così l’essenza della materia. In estrema sintesi: gli chef “cheffeggiano”, le cuoche “cucinano”.

Cucinare”: cosa significa per Dolores Boretti?
Cucinare è un atto d’amore fondamentale. Ed è anche un atto femminile, perché quando una donna vuol far felice il proprio uomo o il proprio figlio, gli fa quello che gli piace. Il latte materno è il primo contatto con il cibo. Cucinare ha anche valore evocativo, perché suscita in noi stessi emozioni e ricordi. Chi si ciba non lo fa solo per una necessità fisica, ma anche per il piacere del profumo, dell’olfatto e della vista. Ecco allora che si cucina per stupire, così come un pittore stupisce creando qualcosa attraverso la tavolozza. Cucinare è un’arte, ed è cultura.

Spesso, in ambito alimentare, si sente parlare di qualità. Quanto è importante?
E’ importante nel momento in cui si rispettano insieme salubrità, tracciabilità, legalità ed eticità. Dobbiamo sapere cosa mangiamo, conoscere la materia prima, la filiera, ma anche, come nel caso delle carni, la macellazione, o come, nel caso del pane, la farina utilizzata, il tipo di lavorazione, la macina ecc… Ho girato molte città per studiare le materie prime, per fare ricerche approfondite, per comprendere ad esempio il taglio della carne, e fare di conseguenza scelte consapevoli sul cibo offerto alla mia clientela.

Una scelta che ha anche un costo… accessibile a tutti?
Guardi, dicono che come ristorante siamo cari, o meglio “costosi”, che è un termine più appropriato… forse, ma proprio per garantire quella qualità di cui ho appena parlato, facciamo scelte che hanno un costo. Paghiamo fornitori di qualità, sappiamo come allevano i bovini, cosa mangiano, cosa fanno. Tutto ciò che abbiamo è frutto di una ricerca etica ai raggi X e alla fine la gente l’apprezza e sa che può fidarsi. Per quanto riguarda l’accessibilità economica, ci sono tanti giovani che vengono da noi per regalare una serata speciale alla persona che amano e noi siamo sempre andati incontro anche a quella clientela con alcuni accorgimenti. Se il cibo è cultura, la cultura va condivisa e bisogna adoperarsi affinché sia accessibile a tutti.

Lei è una donna eclettica, di cultura e con diversi interessi. Impossibile immaginarla ferma. Cosa farà dal 7 gennaio 2021?
Vedrò… intanto voglio godermi fino all’ultimo giorno un’avventura iniziata vent’anni fa, dove lascio una parte importante del mio cuore. Desidero salutare e ringraziare con calma i clienti, con molti dei quali sono nate bellissime amicizie. Spero di essere riuscita in questi anni, attraverso scelte etiche, a trasmettere una cultura del cibo, fatta di creatività, saperi, incontri, confronti e tradizioni.

Marina Bortolani