Il covid ha preso anche il Cavaliere Luigi Ranellucci

Aveva 85 anni, ed era in pensione dopo aver svolto per 46 anni onorato servizio in Prefettura a Reggio Emilia, tanto da esser stato insignito delle onorificenze di Cavaliere e Ufficiale Ordine al merito della Repubblica. Luigi Ranellucci era approdato a Reggio Emilia 60 anni fa da Larino (Campobasso) dove ha sempre vissuto insieme alla moglie Caterina Guerrera e ai figli Monica (avvocato) e Massimiliano (giornalista, volto noto di Teletricolore).
E’ deceduto venerdì sera all’ospedale Magati di Scandiano -divenuto Covid- dov’era ricoverato dal 17 marzo.

Una dolorosa perdita che si aggiunge a quella vissuta pochi giorni fa dal genero Giovanni Ghini (Magistrato) che ha perso la cara madre Anna Onesti.

Ci sono tanti modi per ricordare e onorare la memoria di chi ci ha lasciato. Per Luigi Ranellucci sono stati gli stessi figli ad affidare sui social un toccante un ricordo del padre che riportiamo di seguito.

Al carissimo collega Massimilano, a Monica e alla moglie Caterina giungano le più sentite condoglianze da parte della redazione di NextStopReggio.

mb

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Il ricordo della figlia Monica.

“Papà sta bussando alle porte del Paradiso.
Forse gli chiederanno i documenti, lui aprirà il portafogli ma anziché estrarre la carta di identità tirerà fuori le nostre foto, di mamma, di Massimiliano, e la mia, abbracciata a lui a due, tre anni. “Vede buon Dio, questa è mia moglie, bella vero? e questi i miei figli, bravissimi”.
Faceva sempre così quando incontrava qualcuno che non vedeva da tempo.
Fino a quando è andato in pensione, ogni volta che mi trovavo a passare dalla Prefettura andavo a salutarlo: salivo il largo scalone di accesso ed entravo nel suo ufficio pieno di carte, papà smetteva di lavorare, mi prendeva per un braccio e mi portava in sfilata da tutti i suoi colleghi.
“Hai visto mia figlia come è bella? Mi assomiglia vero?” E scoppiava a ridere.
Non importava se mi avevano visto la settimana prima.
Quando ero piccola mi chiamava “la sua stellina”, e questa stellina cerca nella memoria le mille immagini di lui, i ricordi ma sono troppi…
Potrei legare con un filo il pomeriggio in cui provó a insegnarmi ad andare in bici senza le rotelle laterali – ed io centrai con una precisione chirurgica il ginocchio di una grassa signora seduta su una panchina -, le mattine in cui mi portava a scuola sulla canna della bici alle medie, e, qualche anno dopo, al Liceo a bordo della Simca bianca – sempre in ritardo per colpa mia che lo costringevo a degli zigzag allucinanti sui controviali della circonvallazione -; i viaggi in treno, di notte, quando alla fine della scuola e del campionato di pattinaggio mi portava dalle zie per trascorrervi l’estate – il treno affollato, l’arrivo all’alba nella stazione deserta, e la passeggiata per i campi, tra il fieno e l’erba, fino a casa dove svegliavamo tutti e subito cominciava una festa di baci e abbracci e risate e felicità; dolosamente stupito, quando dopo il primo infarto in ospedale mi disse che voleva andare a fumarsi una sigaretta e io divenni una furia … “nessuno mi ha detto che devo smettere”, ci pensò il medico a convincerlo; emozionato nell’accompagnarmi all’altare il giorno del mio matrimonio, o sorridente quando gli dicevo in un orecchio che era il papà più bravo al mondo – “Davvero?” mi rispondeva ammiccando fiero.
Fino a qualche settimana fa quando gli ho detto che chiamavo il 118 perché non poteva stare più con la febbre così alta.
Se avessi saputo che non lo avrei più rivisto lo avrei abbracciato ancora più forte.
Perché scrivo tutte queste cose qui, su queste stupide pagine?
Perché questo maledetto virus non ci permetterà neppure di salutarlo, di fargli un funerale, non permetterà ai suoi amici, a chi gli ha voluto bene, a chi lo ha stimato, di salutarlo e dirgli arrivederci.
E non voglio che mio papà rimanga un numero nella fredda statistica dei decessi da Covid, voglio che tutti sappiano che è stato il papà più bravo del mondo, che è stato un uomo buono e onesto.
Voglio che tutti sappiano che mi ha insegnato pochissimo con le parole, ma tanto, tantissimo con la sua vita, con l’integrità, l’onestà, la dedizione al lavoro e la serietà nello svolgerlo, con la profonda umanità che gli faceva trattare tutti allo stesso modo; con l’amore per mia madre, nonostante i litigi, rimasto inossidabile nei decenni e che mi ha fatto capire che “sempre” non è qualcosa da dire alla leggera davanti a Dio; con il sorriso che aveva quando gli dicevo che era un testone e col suo dire “sto bene” anche quando è stato in punto di morte.
E quando, ancora oggi, a quasi 20 anni dal suo pensionamento, entro in un ufficio pubblico, e trovo sempre qualcuno che mi chiede se sono la figlia del cavalier Ranellucci, mi inorgoglisco perché non è da tutti avere lasciato un così bel ricordo.
Quante altre cose vorrei dire di lui…
Permettetemi solo di ricordare chi in queste settimane è stato prezioso: in primis Flavia, la caposala del Magati di Scandiano che ha accudito e coccolato papà al posto nostro, che non ha mai mancato di farci avere sue notizie, ogni giorno, con dolcezza; che gli ha concesso di ricevere l’estrema unzione e a noi di partecipare in videochiamata; che ha pianto con me al telefono quando papà ha cominciato a peggiorare.
Voglio pensare che il buon Dio l’abbia messa lì come un angelo, perché papà non fosse solo.
E poi tutti i medici, rimasti senza volto e senza nome, che lo hanno seguito e cercato di salvare.
E voglio ringraziare tutti voi, le vostre preghiere, i vostri pensieri, sono stati preziosi e, anche se non hanno evitato la morte, so che hanno arricchito ancor di più i nostri animi, permettendomi di conoscere un po’ di più qualcuno di voi che mi è stato accanto con discrezione e calore.
Papà sta bussando alle porte del Paradiso, e sicuramente sarà stato accolto con grandi feste.
Luigi Ranellucci, papà”.

Il ricordo del figlio Massimiliano.

“E così alla fine ci hai fatto un bello scherzo papà. Te ne sei andato in una sera di aprile, da solo, in un letto d’ospedale. Pochi giorni fa l’ultimo accenno di sorriso e un saluto col braccio mosso a fatica. Una videochiamata regalataci dalla caposala, ormai come una di famiglia in queste settimane di angoscia.
E noi, piccole facce sullo schermo di un cellulare, da tre case diverse, a dirti di farti coraggio, di provare a mangiare qualcosa, urlandoti un saluto. L’ultimo. Non potevamo saperlo.
Anche le ultime carezze te le ha fatte per noi lo stesso angelo in camice, guanti e mascherina. Che brutto scherzo che ci hai fatto papà.
Ho pregato tutto ciò che ho potuto, anche un amico andato da poco, di sicuro, in Paradiso. Chiedendo una grazia. Ma, ora lo so, non sono uno che attira miracoli. Il virus maledetto con te ha avuto una mira infallibile. Hai lottato e resistito per diciassette giorni, ma eri troppo stanco.
Il tuo sorriso e tutta la tua vita resterà nei nostri cuori. E, sono sicuro, anche in quello dei tuoi amici, di chi ha conosciuto.
Nel mio resteranno anche tante domande, le lacrime, la rabbia per una sorte che non meritavi.
Ciao Luigi. Ciao papà”.