Festa della Madonna di Lourdes, Don Alberto Debbi, sacerdote e medico: “Vicino agli ammalati si aprono finestre di cielo”

Quanto sia radicata e viva in città la devozione alla Madonna di Lourdes lo ha dimostrato la partecipazione di fedeli – nel rispetto delle disposizioni – alla solenne Santa Messa vespertina presieduta giovedì 11 febbraio nella chiesa di Sant’Agostino da don Alberto Debbi, sacerdote e medico pneumologo attualmente in servizio all’Ospedale di Sassuolo, e concelebrata da don Umberto Iotti, don Luca Grassi e don Gionatan Giordani.

Una celebrazione che per la prima volta, dopo decenni, non ha presieduto don Guido Mortari, spentosi nel marzo 2020 colpito dal Covid, ma la cui “presenza” si avvertiva ugualmente, come ha sottolineato il celebrante.
L’omelia di don Debbi è stata una vera e propria “lectio” sul mistero della malattia, sull’umana vulnerabilità, sulla fiducia nell’altro e sull’affidamento a Dio.
“L’esperienza della malattia ci fa sentire la nostra vulnerabilità e nel contempo, il bisogno innato che abbiamo dell’altro, della fiducia nell’altro. Ci fa crescere nell’affidamento e in particolare nell’affidamento all’Altro, a Dio. Diventa più nitida la nostra condizione di creaturalità. La nostra dipendenza da Dio e dagli altri, il nostro non essere indipendenti.
Che non significa rassegnarsi senza lottare o essere inermi di fronte a una malattia, ma la lotta con fiducia e abbandono in un Dio creatore, che ci ha mette a disposizione i mezzi possibili per lottare e che comunque, alla fine, sa cosa è bene per la sua creatura. Dio è un Dio della vita e in ogni caso, non lascerà che la nostra vita sia sconfitta, sprecata”, ha affermato don Alberto.

Il celebrante ha aggiunto che per quanto ci illudiamo, la medicina, come la scienza in generale, non ha la spiegazione, la soluzione e la risposta per tutto. Anche con la ricerca, con il progresso scientifico, allora come nel 2021 e come in futuro. Di fronte a un mistero grande come la malattia è la strada dell’abbandono e della fiducia l’unica che rimarrà sempre e comunque vera e valida. L’abbandono e l’affidamento nelle mani di Dio in tutti i momenti della malattia, dalla lotta con le terapie possibili fino all’accompagnamento nelle fasi più avanzate.

Alla luce anche della propria esperienza di medico pneumologo tornato in corsia, il presbitero ha affermato: “Di fronte alla malattia ognuno di noi è chiamato a interrogarsi. Io stesso sono interrogato. Come sacerdote, come operatore sanitario, come familiare, come semplice visitatore, come malato. Sono chiamato a un cambiamento, a guardare con occhi diversi, ad allargare i miei orizzonti. Personalmente credo che vicino agli ammalati si aprano “finestre di cielo”, momenti di grazia, di “comunicazione” particolare con realtà eterne, infinite. Si allargano i nostri limitati orizzonti umani. Si allarga il nostro spirito. Quanti miracoli accadono accanto a chi è nella malattia!”.

Don Alberto ha altresì sottolineato, con riferimento al salmo 94 e alle letture proposte dalla liturgia, che mai come oggi c’è bisogno di “più cuore”. San Camillo de Lellis diceva “mettete più cuore in quelle mani!”. Il cuore può essere messo in tante parti del nostro corpo. C’è bisogno di cuore. C’è bisogno di una relazione che vada da cuore a cuore, da persona a persona.
“Ecco perché la relazione di cuore può salvare la nostra speranza e può salvarci. Anche noi siamo invitati ad avvicinarci a Gesù, a gettarci ai suoi piedi e a supplicarlo a favore di tutti coloro a cui vogliamo bene e a cui siamo legati”.

Don Debbi ha concluso la sua bellissima omelia leggendo la toccante preghiera che i suoi genitori Enzo ed Anna avevano scritto poco prima della morte per malattia del padre, avvenuta nell’ospedale Spallanzani ormai 27 anni fa; intitolata “Padre nostro degli sposi”, è un inno alla speranza, alla fiducia in Dio anche nelle dure prove della malattia.
La celebrazione eucaristica, a cui hanno partecipato rappresentanze della associazioni di volontariato, è stata conclusa – come da tradizione – dal canto dell’”Ave Maria di Lourdes”; le candele alzate dai fedeli illuminavano il buio della navata di Sant’Agostino.

Giuseppe Adriano Rossi