Donbass e neonazismo ucraino: a Reggio Emilia illustrata resistenza antifascista alle porte dell’Europa di cui nessuno parla. Intervista ad Alberto Fazolo

L’associazione di solidarietà fra i popoli Alma Rebelde, insieme a Patria Socialista, ha organizzato a Reggio Emilia presso il “Gattaglio’s Pub” una serata di presentazione del libro “In Donbass non si passa. La resistenza antifascista alle porte dell’Europa” di Alberto Fazolo e Nemo. Fra i principali valori associativi di Alma Rebelde i valori dell’antifascismo, antimperialismo e anticapitalismo.

La presentazione del libro di Fazolo in un Pub gremito di gente giunta ad ascoltare (ndr, fra i presenti anche l’ex br Tonino Paroli), è stata l’occasione per illustrare in modo dettagliato da parte dell’autore la situazione nel Donbass in relazione a un neonazismo ucraino che si sta manifestando e diffondendo in forme più o meno violente anche nel resto dell’Europa.

Alberto Fazolo: Militante internazionalista. Ha partecipato alle campagne nazionali e internazionali in sostegno ai popoli dell’ex-Ucraina. Economista, esperto di Terzo Settore e giornalista, ha trascorso due anni in Donbass svolgendo attività politica e umanitaria.

Nemo: Già commissario politico e poi comandante di InterUnit, l’unità di antifascisti internazionalisti all’interno del Battaglione Prizrak, ha combattuto in Donbass tra il 2015 e il 2017.

Donbass: Sono anni che una storia completamente rimossa dai mezzi d’informazione continua a scrivere pagine di sangue alle porte dell’Europa. È la storia delle Repubbliche Popolari del Donbass dove, di fronte a un colpo di stato apertamente fascista e in una situazione di volta in volta indebitamente dipinta come “conflitto etnico” o come interferenza della Russia negli affari ucraini, molti distaccamenti delle milizie si formano nel nome del comunismo e sotto le bandiere rosse della ex Unione Sovietica. Sin dall’inizio del conflitto, alla lotta prendono parte molti volontari stranieri, che danno vita alle proprie formazioni all’interno della Milizia Popolare. Tra queste (e probabilmente la più nota), il gruppo “InterUnit” della brigata “Prizrak”, in cui hanno prestato servizio soldati provenienti da ogni parte del mondo: protagonisti di una vicenda di antifascismo e solidarietà internazionalista (Prefazione di Alexey «Dobrij» Markov).

NextStopReggio ha intervistato Alberto Fazolo.

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Alberto, partiamo spiegando brevemente una realtà di sangue alle porte dell’Europa di cui i media non parlano.

Le forze euro-atlantiche (USA, UE e NATO) nel 2013 hanno arbitrariamente deciso di cambiare il Governo ucraino, a tal fine hanno utilizzato dei movimenti nazisti. Nei territori dell’ex-URSS è diffuso un viscerale sentimento antifascista e quindi in molti non hanno accettato quell’ingerenza. Per questo gli abitanti dell’Ucraina orientale si sono sollevati in armi con un’insurrezione che ha portato alla nascita delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. Da allora questa guerra è costata circa 12mila morti e un numero indefinito di feriti.

Quali ragioni alla base della scelta di scrivere il libro “In Donbass non si passa. La resistenza antifascista alle porte dell’Europa”?

La lotta è fatta di fasi. Ce ne è stata una in cui il migliore aiuto che si potesse dare alle Repubbliche Popolari del Donbass era sul piano militare, ora è sicuramente più utile un’azione politica di divulgazione. “Ne uccide più la penna che la spada”.

Il testo è un libro scritto a quattro mani insieme a Nemo, Commissario politico e Comandante della Interunit, l’unità militare operativa in Donbass nel battaglione Prizrak dal 2015 al 2017. Da sempre chiarisce che non siete la stessa persona. Ci parli di lui.

Ragioni di sicurezza mi impongono di non divulgare informazioni al riguardo, anche perché la magistratura ucraina ha da poco avviato un’indagine contro di me sostenendo che io sia Nemo.

In Italia è un reato penale arruolarsi in organizzazioni straniere. Eppure sono in aumento gli italiani che fanno parte dei cosiddetti “Foreign Fighters” (ndr, combattenti stranieri). Alcuni vicini alla Lega di Salvini, altri alla destra estrema e altri ancora alla sinistra radicale. A suo avviso quali possono essere le ragioni che spingono un italiano a rischiare la vita per un altro popolo?

Ognuno ha le proprie convinzioni, ma credo che alla base di tutto ci sia una forma di profonda empatia. Non si può essere felici se non lo siano anche gli altri. Non c’è vera libertà se questa non arrivi anche al prossimo. Poi ritengo ipocrita sostenere che i fenomeni possano essere assolutamente compartimentati. Qualsiasi evento è collegato a tutti gli altri e quindi è logico voler “giocare a tutto campo”.

Oltre ad essere autorevole giornalista di geopolitica, lei è anche militante internazionalista, partecipando attivamente alle campagne a sostegno dei popoli dell’ex Ucraina. Cosa l’ha spinta un giorno a impegnarsi in prima persona?

Tutto è conseguente. Se si appoggia per davvero una lotta, si deve lottare. In questa ottica si possono inserire anche scelte drasticamente coerenti.

Durante la serata a Reggio Emilia, spiegando la rivoluzione colorata in Donbass, ha lanciato strali contro tutti: contro l’ingerenza europea, contro gli Usa, la Russia, ma anche contro i comunisti che ha definito “vigliacchi”. Eppure nell’immaginario collettivo si pensava che una certa sinistra radicale fosse al fianco delle piazze contro i corrotti di palazzo.

Certo che io sono ferocemente contro i corrotti di palazzo, ma la piazza mica sempre ha ragione.

Le forze euro-atlantiche in Ucraina hanno artificiosamente creato dei movimenti per spodestare un governo corrotto ma democraticamente eletto. Questi movimenti erano eterodiretti e assolutamente minoritari. In sostanza si trattava di agenti al soldo di potenze straniere che volevano attuare una penetrazione imperialistica. Soprattutto, nello specifico di Euromaidan i movimenti di piazza erano dichiaratamente nazisti, quindi al netto di ogni valutazione geopolitica c’è un evidente inconciliabilità ideologica.

Gli accordi di Minsk hanno contribuito alla risoluzione nel sudest dell’Ucraina o congelato parzialmente il conflitto?

Gli Accordi di Minsk sono nati male e funzionano peggio. Sono solo riusciti ad arrestare l’avanzata delle Milizie Popolari del Donbass. Nonostante tutto il Donbass cerca in ogni modo di rispettare questi accordi, anche a costo di grandi sacrifici. Invece, l’Ucraina li disattende continuamente e la comunità internazionale fa finta di non vedere.

Le tensioni nel Donbass iniziate nel 2014 continuano comunque a non vedere la parola “fine”. Che futuro vede all’orizzonte sul piano geopolitico?

Ci possono essere tre scenari plausibili. Il primo è che questo conflitto rimanga a bassa intensità e non si risolva neanche nel lungo periodo. Il secondo è che l’Ucraina (con l’appoggio della NATO) cerchi di sfondare le linee del Donbass, opzione che a prescindere dal possibile esito costerebbe molte decine di migliaia di vite umane. La terza è che il Donbass avvii un percorso d’integrazione con la Federazione Russa.

Sul conflitto in Donbass ha espresso dure critiche nei confronti della Boldrini evidenziando profonde contraddizioni. Può illustrarcele?

La Boldrini si è costruita un’immagine di antifascista che però stride fortemente con la sua condotta. Faccio solo un esempio, ha incontrato il Presidente del Parlamento ucraino con cui si è fatta fotografare sorridente. Costui è il fondatore del partito nazional-socialista ucraino (ora chiamato Svoboda), cioè un’organizzazione palesemente nazista. La Boldrini incarna al meglio quella che viene definita come “sinistra imperiale”, realtà liberal-progressiste che non si fanno scrupolo a compiere i peggiori compromessi per becero opportunismo.

L’Italia potrebbe fare qualcosa per contribuire a una soluzione pacifica nel Donbass?

Potrebbe riconoscere le Repubbliche Popolari. La Russia non lo ha ancora fatto perché è troppo coinvolta nel conflitto. L’Italia che ha una posizione più defilata potrebbe dare un grande contributo al processo di pace e finalmente essere protagonista degli eventi.

A quale partito o movimento politico italiano oggi si sente più vicino?

A nessuno. Sono uno dei tanti comunisti che non riesce a trovare collocazione in alcuna organizzazione. Il motivo è che rifiuto la sinistra liberale, il settarismo, il finto pacifismo, l’ipocrisia, la corruzione e tanti altri mali. Però sono un militante. Non ho una mia organizzazione, mi poggio ad altre per cercare di coinvolgerle in campagne specifiche. Punto ad un obiettivo e cerco di raggiungerlo.

Domenica si sono svolte le elezioni nelle repubbliche separatiste del Donbass. Ma il presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko, in una conferenza stampa a Parigi, ha affermato che nessuno ne riconoscerà l’esito. Un suo commento.

Iniziamo con il ricordare che le elezioni sono state indette perché il Presidente Zakarchenko è stato ucciso in un attentato terroristico: mentre si trovava in un bar a Donetsk è stata fatta esplodere una bomba. Non bisogna stupirsi del mancato riconoscimento delle elezioni, la comunità internazionale non riconosce le Repubbliche del Donbass e quindi è fisiologico che non ne riconosca neanche le consultazioni interne.

Bisogna però chiarire un malinteso, noi non abbiamo fatto le elezioni per cercare un plauso internazionale o per mostrare che siamo democratici, noi facciamo le elezioni perché crediamo davvero nella partecipazione popolare.

Marina Bortolani, @nextstopreggio

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