Celibato ecclesiastico: la lettera del Vescovo Camisasca ai sacerdoti reggiani

Pubblichiamo di seguito integralmente la lettera che il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca ha indirizzato ai sacerdoti sul tema del Celibato.

“Cari fratelli nel presbiterato,

l’avvicinarsi della Pasqua mi dà l’occasione e quasi l’urgenza di scrivervi per ringraziarvi del vostro ministero, senza del quale il mio sarebbe impossibile e vuoto. Desidero inoltre, ancora una volta, assicurarvi la mia vicinanza e il mio affetto, ben consapevole delle grazie che riempiono la vostra esistenza dal giorno dell’ordinazione, così come delle fatiche e delle prove che quotidianamente dovete portare.

In queste ultime settimane alcuni fatti accaduti nella nostra Chiesa e alcuni articoli di giornale hanno riproposto, in termini non sempre obiettivi e rispettosi, il tema del celibato ecclesiastico.

La legge del celibato ecclesiastico impegna tutti i vescovi della Chiesa. Nella nostra Chiesa latina essa, forte di una tradizione che risale ad un’epoca vicina a quella apostolica, riguarda anche tutti i sacerdoti. Si tratta di una scelta storica, continuamente riaffermata e riproposta dal Magistero, con convinzione sempre maggiore e crescente. In questo Giovedì Santo desidero riaffermare con semplicità e passione le ragioni essenziali che stanno al fondamento di essa.

La più profonda è sicuramente la forma di vita che Gesù Cristo stesso ha voluto per sé e per gli apostoli. L’insegnamento di Gesù su questo tema è molto chiaro. Egli inoltre, nel Vangelo di Matteo, giunge ad utilizzare un’espressione molto forte, a tutti noi ben nota: alcuni si sono resi eunuchi per il Regno dei Cieli (Mt 19,12). Con queste parole il nostro Salvatore descrive quelle persone che, assegnando nella loro vita un primato assoluto al rapporto con il Padre, abbracciano naturalmente e con semplicità il celibato, per fare del loro tempo e delle loro energie una donazione totale nel ministero della Parola e dei sacramenti, a vantaggio esclusivo del popolo.

Se Gesù ha scelto per sé e per gli apostoli questa forma di vita, ciò non è certamente accaduto a motivo di una scarsa considerazione della donna – che egli ha anzi valorizzato come nessun altro nella storia – né per un misconoscimento della bellezza e del valore della vita matrimoniale, esaltata da lui fin dall’inizio del suo ministero, alle nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11), e di cui, ribadendo il valore dell’indissolubilità, ha rilevato l’importanza nel disegno originario di Dio (cf. Mt 19,8). Non si riscontrano nella vita e nelle parole di Gesù neppure accenti negativi verso il corpo e la sessualità, come invece accadeva in alcune correnti filosofiche pagane del suo tempo e come faranno poi alcuni movimenti cristiani ereticali. Gesù è il Verbo fatto carne (Gv 1,14): ha assunto un corpo umano, era maschio e ha vissuto tutte le dimensioni della vita umana (cf. Eb 2,17), eccetto il peccato.

Gesù ha scelto il celibato di modo che il suo cuore e la sua dedizione fossero unicamente rivolte al Padre e al bene delle persone che egli incontrava. A coloro che gli stavano più vicino ha chiesto di vivere questa stessa dimensione, con semplicità e radicalità.

Nessuno può misconoscere che la verginità sia stata un bene difficile ad affermarsi nella storia della Chiesa. Eppure, il magistero ne ha riconosciuto sempre la preziosità, fino ai recenti interventi di Paolo VI (Lettera Enciclica Sacerdotalis Caelibatus, 1967) e di Giovanni Paolo II (Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores dabo vobis, 1992; cf. nn. 29; 44 e 50), di Benedetto XVI[1] e di Francesco[2].

Altre considerazioni di minore importanza, ma non senza significato, vengono oggi alla mia mente. Le difficoltà a vivere il celibato sono molteplici: la povertà della nostra preghiera e del nostro affidamento a Dio; l’erotizzazione crescente del nostro tempo; il peso delle fatiche vissute senza il conforto dei fratelli e del popolo; soprattutto: la solitudine di vita di molti presbiteri. La lontananza dei fedeli, la difficoltà a stabilire con essi rapporti di vera fraternità e di aiuto reciproco costituiscono un limite e una debolezza enormi per il ministero di molti. Tutto ciò deve interrogare la formazione seminaristica, ma anche lo stile di vita delle nostre realtà ecclesiali. Parallelamente, anche la vita delle famiglie oggi è attraversata da molte difficoltà, fragilità e tentazioni. Se l’accesso al presbiterato fosse possibile per uomini sposati, non rischieremmo di sovraccaricare ulteriormente la vita dei presbiteri e di rendere molto più complessa la realtà del presbiterio?

Bene fa la Chiesa a interrogarsi continuamente sulla congruità del celibato alla vocazione sacerdotale. Non si tratta di una verità dogmatica, ma di una scelta storica che, ripeto, ha mostrato nei secoli un’enorme fecondità di santità e di apostolato missionario. Tutti noi, il vescovo per primo, siamo chiamati a riscoprire nella preghiera, nella meditazione e nella donazione al nostro popolo, in specie ai più poveri e abbandonati, la gioia e la fecondità di questa legge ecclesiastica, che certamente non avrebbe resistito al tempo se non poggiasse su una grazia speciale, voluta dal Signore per i suoi ministri.

Vi ricordo uno per uno nella mia preghiera e nelle celebrazioni di questo Triduo Pasquale. Vi abbraccio nel Signore”.

+ Massimo Camisasca