Carta dei Diritti per i Riders, la proposta di Nidil Cgil al Comune di Reggio

Tra 700mila e 1 milione. Questa la stima dei lavoratori della gig economy in Italia, ovvero gli uomini e donne che lavorano “su richiesta” nella più estrema precarizzazione. C’è chi pedala in sella a una bicicletta o sfreccia col motorino per consegnare pizze e pasti pronti – sono circa 10mila i lavoratori in Italia che lavorano per le piattaforme di food delivery – ma anche chi si occupa di servizi cloud, come l’elaborazione dati. O chi si rivolge a servizi più tradizionali di babysitting o di pulizie per chi affitta casa su Airbnb.

Una zona grigia di persone che non gode di diritti basilari come la malattia, l’infortunio e la maternità e di importanti tutele come l’assicurazione sanitaria,un orario di lavoro settimanale certo, i contributi per la manutenzione dei mezzi, un’indennità per le condizioni meteo avverse e per i turni festivi, un limite di chilometri per le distanze da percorrere in bicicletta e tanto altro.

Un quadro complesso sul quale la Cgil ha le idee chiare: “Serve una regolamentazione nazionale per questi lavoratori, che assicuri loro condizioni di vita decorose e sicure, con regole certe ed univoche per tutti, con paghe orarie stabilite, come in altri paesi Europei, per evitare una deregolamentazione selvaggia e senza controllo – spiega Marco Barilli, segretario provinciale Nidil Cgil – . Nel frattempo possiamo provare a dare tutele partendo dal territorio: nella vicina Bologna, ad esempio, lo scorso 31 Maggio il Comune ha approvato una carta dei diritti per i riders firmata da alcune aziende e dalle parti sociali, mentre spostandoci più a sud vediamo che la Regione Lazio ha appena concluso un percorso che porterà entro la fine dell’anno alla approvazione di una legge regionale in favore dei lavoratori della gig economy”.

Una galassa in espansione dove circa la metà di chi fa questi lavori è donna, con livelli di studio elevato. Solo per 150mila di loro, lo 0,4% dell’intera popolazione, si tratta dell’unico lavoro. Gli immigrati rappresentano il 3 per cento. Questi lavoratori vengono contrattualizzati nel 10% dei casi come cococo, mentre il 50% con collaborazione occasionale a ritenuta d’acconto.

Più del 50% viene pagato a consegna, mentre meno del 20% è pagato a ora. Il guadagno medio si attesta sugli 839 euro per chi lo fa come lavoro principale e 343 euro per chi lo fa come lavoretto (in media circa 12 euro lordi l’ora).
I riders sono soprattutto giovani o giovanissimi, che “arrotondano”, magari durante il percorso di studi, ma molti sono i lavoratori che lo fanno come prima fonte di reddito .
Costretti a turni massacranti e sempre monitorati dal servizio che, inoltre, può decidere in qualsiasi momento di interrompere il “ contratto “ attraverso un’applicazione utilizzata sul cellulare.

Vorremmo per questi lavoratori, in una fase in cui i diritti e le tutele sono state cancellate o ridotte significativamente anche per altre categorie di lavoratori più “tradizionali” in nome della modernità e della centralità dell’impresa, una paga adeguata, stop al cottimo, coperture assicurative, indennità meteo e trasparenza nei contratti – conclude Barilli – . Chiediamo al Comune di Reggio Emilia di realizzare un percorso come quello costruito a Bologna, soprattutto ora che alcune piattaforme dovrebbero entrare a stretto giro nel mercato della distribuzione del cibo su richiesta”.

Il NIdiL invita tutti i riders e lavoratori della gig economy residenti a Reggio Emilia a fare squadra, scriveteci re_precari@er.cgil.it o alla pagina facebook www.facebook.com/partiteivaprecariCgilRe/ oppure chiamateci allo 0522 457305

M.S.