Acqua su Marte, è reggiano il capo del team. Intervista allo scienziato Roberto Orosei

Se ne sta parlando in tutto il mondo e in tutte le lingue: il radar Marsis installato a bordo della sonda europea Mars Express, ha fornito evidenza della presenza di acqua liquida e salata sotto la superficie di Marte. Una scoperta che rende merito alla ricerca degli scienziati italiani, in particolare quelli coinvolti nel progetto: Roberto Orosei, responsabile scientifico del radar Marsis, Enrico Flamini responsabile dell’esperimento Marsis, ex responsabile ASI dell’Unità di Esplorazione dell’Universo, ora docente all’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara e scienziato all’Istituto di Radioastronomia e Elena Pettinelli, co-investigator di Marsis.

I risultati, pubblicati da “Science”, sono stati presentati presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Nella pubblicazione il team composto da ricercatori appartenenti a centri di ricerca ed università italiane (Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Università degli studi Roma Tre e Sapienza Università di Roma, mostra che oggi abbiamo, per la prima volta, la prova che sotto la superficie di Marte c’è dell’acqua allo stato liquido. I dati di MARSIS indicano che probabilmente l’acqua è salata poiché alla profondità di 1.5 km, dove l’acqua è stata identificata, la temperatura è al di sotto di 0°C. I sali agiscono da “antigelo” aiutando a mantenere l’acqua allo stato liquido. Acqua, sali, rocce e protezione dalla radiazione cosmica sono ingredienti che potrebbero far pensare anche ad una nicchia biologica.

I ricercatori sono convinti che potrebbero esserci altre zone con condizioni favorevoli alla presenza di acqua in profondità su Marte ed ora, messo a punto il metodo di analisi, potranno continuare ad investigare.

Ma oltre alle informazioni rese dal radar, ne esiste una che rende Reggio Emilia e i reggiani orgogliosi: a fa capo dell’equipe, nel ruolo di responsabile scientifico, Roberto Orosei è un nostro concittadino che vive a Reggio Emilia e fa il pendolare tutti i giorni per recarsi a Bologna all’Istituto di Astronomia dove lavora (ndr, Istituto che fa parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica).

NextStopReggio l’ha intervistato.

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Dott. Orosei, cos’ha provato quando è stata identificata la presenza di acqua si Marte?

Va detto innanzitutto che si tratta di un progetto che complessivamente ha richiesto 10 anni di lavoro con una squadra formata da 22 persone con la quali c’è stima e ci si trova bene: lavorare in un gruppo affiato è stato molto importante. Proprio perchè è stato un percorso durato diversi anni, non c’è stato un momento in cui si è accesa la lampadina della “scoperta” in sé, ma grandi soddisfazioni quando piano piano superavamo tutti gli ostacoli che avevamo di fronte a noi.

Ce n’è stato uno più importante degli altri?

Sicuramente quando ad un certo punto sembrava che il radar non riuscisse a vedere bene le cose, ovvero gli echi che provenivano dall’acqua, per cui, quando passavamo una seconda volta in una zona dove c’erano degli echi sui quali avevamo sospetti, non vedevamo le stesse cose. Questo ci ha confuso per parecchio tempo.

Poi cos’è successo?

E’ successo che alla fine i nostri ingegneri sono riusciti a modificare il modo in cui lo strumento funzionava e acquisiva i dati, e questo ha fatto decisamente la differenza.

In che senso?

Nel senso che abbiamo finalmente visto i dati che ci mostravano ogni singola volta che c’erano degli echi molto forti. Anche se provenivano da un chilometro e mezzo di profondità, abbiamo capito che avevamo davvero trovato qualcosa.

Alla fine la vostra determinazioni vi ha premiati.

Come ho detto prima, la cosa iniziò 10 anni fa, quando i nostri colleghi americani avevano trovato per primi gli indizi di una presenza di acqua, cioè degli echi molto forti, ma loro furono più sfortunati perchè in quel caso la spiegazione era un’altra: il ghiaccio che c’era sopra non era ghiaccio d’acqua, ma un altro tipo di ghiaccio molto più trasparente, che faceva vedere molto di più ciò che c’era sotto. Per fare un esempio, era come guardare attraverso un vetro trasparente anziché un vetro smerigliato. Ai colleghi americani sembrava molto brillante ciò che veniva da sotto solo perchè era il vetro ad essere molto trasparente, non perchè fosse veramente qualcosa di brillante.

Voi però non vi siete arresi e avete continuato ad indagare su Marte.

Il problema nostro era dimostrare per gli altri echi, in un’altra zona e in un posto diverso in cui li avevamo trovati noi, non era lo stesso problema, ovvero non era tanto il “vetro trasparente”, ma il “vetro smerigliato”. Ha fatto la differenza il nostro strumento, cioè il modo in cui elaborava i dati a bordo.

Acqua su Marte… fino all’altro giorno poteva sembrare fantascienza. Oggi invece è realtà, grazie al suo lavoro e a tutto il team. Lei ha sempre creduto nel risultato finale?

No. All’inizio chi credeva fortemente nel risultato è stato il Prof. Giovanni Picardi, dell’Università La Sapienza di Roma, ovvero la persona che ha realizzato Marsis, morto purtroppo nel 2015 a seguito di malattia, la nota triste di tutto questo perchè non ha potuto vedere il risultato che aveva previsto. Io stesso all’inizio ero scettico. Poi sono subentrate altre persone e ad un certo punto è arrivato il mio turno di prendere il testimone e alla fine siamo arrivati al traguardo.

Marina Bortolani, @nextstopreggio